Voce grossa contro l’Italia, non c’è solo il nodo gas

La Russia minaccia l’Italia, il suo governo, il ministro della Difesa Guerini. Fa sapere che se la logica della guerra economico-finanziaria a Mosca (quella esposta dal ministro francese Le Maire, ndr) «dovesse trovare seguaci» anche da noi, allora le «conseguenze corrispondenti» sarebbero «irreversibili». A parlare con queste parole tonitruanti è il direttore del dipartimento europeo del ministero degli Esteri, non uno qualunque: se si esprime così è perché il suo ministro Lavrov glielo ha ordinato e dunque la cosa va fatta risalire a Putin in persona.

Perché? Per varie e complesse ragioni. La prima è evidente: noi dipendiamo dal gas russo, come ormai sanno tutti, per il 40 per cento del fabbisogno nazionale. Siamo costretti a comprarlo pur sapendo che, così facendo, finanziamo proprio la guerra all’Ucraina. Sulla parola «costretti» si potrebbe aprire un lungo discorso, troppo pieno di ipotesi e di illazioni. Basterà però citare le parole di uno che la sa veramente lunga, Franco Bernabè, attuale capo dell’acciaio pubblico italiano e in passato amministratore di aziende strategiche come l’Eni e Telecom. Bernabè ha detto: «Se siamo così dipendenti dalla Russia è perché in passato c’era un disegno». Stop, non è andato oltre. Certo, questo «disegno», se davvero c’è stato in passato, ora sulla spinta dell’emergenza è sottosopra, tanto è vero che il ministro degli Esteri Di Maio si è messo a fare il commesso viaggiatore insieme all’a.d. di Eni Descalzi alla ricerca di gas alternativo a quello russo (ieri era in Mozambico, ennesima tappa di una lunga missione cominciata in Algeria). Il ministro Cingolani dice che in 24-30 mesi saremo autonomi da Gazprom. Un periodo relativamente breve da riempire in fretta e furia di nuovi contratti, riapertura degli impianti di estrazione in Adriatico, potenziamento del Tap – e fortuna che non abbiamo dato retta ai no-Tap – forse nuove trivellazioni, incentivi ulteriori alle rinnovabili. Tutto fattibile in due-tre anni: ma nel frattempo?

Quindi questa è la prima spiegazione del perché la Russia minacci proprio noi. Con un dubbio: la dipendenza italiana dal gas russo è simile a quella tedesca che è appena uscita dal nucleare per volere di Frau Merkel. Però la Germania, almeno per ora, non è stata insolentita. Forse attaccare l’Italia può servire a dividere i partner europei alla vigilia del Consiglio europeo e e della riunione Nato con Joe Biden: impaurendo il più esposto, si può provocare una sua reazione. Del resto non fu Mario Draghi il premier Ue a frenare allorché si studiava il primo pacchetto di sanzioni perché non fossero estese al tema energetico? Ieri comunque Draghi ha risposto per le rime alle minacce: «Inaccettabili».

Colpisce poi che il signor Alexei Poromonov, così si chiama l’alto funzionario, se la prenda con nome e cognome con il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, uomo notoriamente mite ma considerato da Mosca un «super-falco anti-russo»: probabilmente perché responsabile e gestore del forte aumento di spese militari che porteranno le stesse in breve tempo a raggiungere la quota del 2 per cento del nostro Pil.

C’è qualcosa di più sottile, tuttavia, nelle parole del Cremlino, misterioso fortilizio che non sarà certo quello di una volta ma dove comunque sono abituati da decenni a pesare le parole e le virgole. Parla di «seguaci». Che vuol dire? Si rivolge forse a quella parte del mondo politico che un tempo mostrava forte simpatia verso il putinismo e oggi sembra o aver cambiato bandiera o quanto meno aver ammainato temporaneamente il vecchio stendardo moscovita? La Lega con il partito di Putin ha siglato un vero e proprio accordo scritto di collaborazione e ci sono state persino vicende giudiziarie sui rapporti tra gli ambienti legati a Salvini e uomini d’affari russi. E tuttavia quando il premier spagnolo Sanchez l’altro ieri ha pesantemente attaccato Salvini proprio per questa ragione rinfacciandogli la brutta figura rimediata col sindaco polacco, Draghi ha difeso il capo della Lega: «È un fatto che oggi lui fa parte di un governo europeista», ha detto. Motivo per cui, sia pure con qualche mal di pancia, la Lega non fa mancare il suo sì ufficiale all’invio di armi agli ucraini.

Stessa questione si pone per i Cinque Stelle, dove il partito filo-russo è tuttora vivo e attivo al punto che alcuni contestano che Zelensky parli alle Camere e invocano per par condicio un collegamento con Putin, figuriamoci. Per loro, e soprattutto per Giuseppe Conte, potrebbe esserci un secondo, sibillino segnale nelle minacce del funzionario russo che ci rinfaccia l’aiuto datoci durante il lockdown. Chi non ricorda le polemiche contro Giuseppe Conte, allora presidente del Consiglio, per aver autorizzato mezzi militari russi di girare indisturbati per il Nord Italia in funzione «umanitaria»? Su quei mezzi di recente al Copasir, il comitato parlamentare sull’intelligence, si sono sollevati parecchi dubbi ed è stata evocata la cyber-guerra di cui è noto che i russi sono devastanti attori globali: tant’è che abbiamo deciso di far disinstallare l’anti-virus «Kaspersky» che improvvidamente (?) qualcuno decise di far adottare da tutta la nostra pubblica amministrazione, compresi organismi sensibili. Che faccia parte anche questo del «disegno» di cui parla Bernabè?

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