Zaki, la politica
batte un colpo

La privazione forzata e totale della libertà è la condizione esistenziale peggiore alla quale una persona possa essere sottoposta. La prigionia è la forma più grave di questo occultamento, difficile da sopportare quando si è colpevoli, inaccettabile quando non si ha compiuto alcun reato. Patrick Zaki, cristiano ortodosso copto, 28 anni, ricercatore egiziano dell’Università di Bologna, è detenuto dal 7 febbraio 2020 in una delle peggiori carceri del suo Paese con le accuse mai dimostrate di minaccia alla sicurezza nazionale, incitamento alle proteste illegali, sovversione, diffusione di false notizie, propaganda per il terrorismo, tutto tramite un post su Facebook che non sarebbe nemmeno partito dal suo indirizzo. Rischia 25 anni di reclusione. Ogni 45 giorni si tiene al Cairo un’udienza per decidere del destino di Patrick e puntualmente i giudici prorogano la carcerazione. Una tortura psicologica.

La fidanzata lo ha incontrato nei giorni scorsi: gli occhi scavati e annebbiati di chi non dorme, molto dimagrito, la testa rasata, si regge in piedi a fatica ed è sulla soglia di una depressione grave. Irriconoscibile rispetto alle foto che lo ritraggono con una chioma riccia, il volto tondo e sorridente. Alla fidanzata, nascosto in un libro, ha consegnato questo messaggio: «Sto resistendo, grazie per il supporto di tutti». In Italia una petizione per la sua liberazione ha raccolto 200 mila firme. Ieri intanto il Senato ha approvato un ordine del giorno che impegna il governo a conferire al più presto la cittadinanza italiana a Zaki. Un atto simbolico per dire che la vita non appartiene a uno Stato. Il via libera con 208 voti favorevoli, nessun contrario e i 33 astenuti di Fratelli d’Italia, con una motivazione sovranista imbelle, quando si tratta di mandare un segnale a una dittatura che sta spegnendo una vita legata al nostro Paese: «Noi siamo molto solidali ma io non sono convinta che un’ingerenza tale del Parlamento italiano aiuti il giovane» ha detto la leader di FdI Giorgia Meloni spiegando l’astensione. Di altro spessore le parole della senatrice a vita Liliana Segre, 90 anni, sopravvissuta da bambina ai campi di sterminio nazisti: «C’è qualcosa nella storia di Patrick Zaki che prende in modo particolare - ha commentato - ed è ricordare quando un innocente è in prigione. Questo l’ho provato anch’io e sarò sempre presente, almeno spiritualmente, quando si parla di libertà».

L’ordine del giorno approvato stabilisce inoltre che lo Stato italiano deve «intraprendere tempestivamente ogni ulteriore iniziativa presso le autorità egiziane per sollecitare l’immediata liberazione» dello studente egiziano, valutando la possibilità di utilizzare gli «strumenti previsti dalla convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura» e continuare a «monitorare, con la presenza in aula della rappresentanza diplomatica italiana al Cairo, lo svolgimento delle udienze processuali a carico di Zaki e le sue condizioni di detenzione».

Il pronunciamento del Senato è arrivato proprio nel giorno in cui si è appreso di una nuova testimonianza che accusa i quattro 007 egiziani di essere gli autori del sequestro, delle torture e dell’omicidio di Giulio Regeni, il ricercatore trovato morto in Egitto nel febbraio del 2016. È emerso dai nuovi atti depositati dalla Procura di Roma, in vista dell’udienza preliminare, fissata per il prossimo 29 aprile, a carico di Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi, Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, in cui si dovrà vagliare la richiesta di processo. Gli agenti egiziani sapevano della morte di Regeni già il 2 febbraio 2016, il giorno prima del ritrovamento «ufficiale» del corpo, e per deviare l’attenzione da loro «inscenarono una rapina finita male». Su questa vicenda ormai ci sono pochi dubbi: si è trattato di un delitto di Stato con la copertura del regime del presidente Al-Sisi. I rapporti fra Italia ed Egitto non sono però sostanzialmente cambiati. Anzi, sul fronte delle forniture militari è come se nulla fosse successo: nel 2019 abbiamo venduto al Paese delle piramidi 32 elicotteri militari per 871,7 milioni di euro. E nei giorni scorsi consegnato agli egiziani la seconda fregata militare, parte di una commessa più ampia. Ciò nonostante una legge del 1990 che vieta l’export italiano di armamenti a Stati che non rispettano i diritti umani.

Prima o poi andrà discusso il tema del rapporto fra democrazie e dittature, delle politiche che le rafforzano, chiamando a un ruolo incisivo anche le organizzazioni multilaterali, dall’Unione europea all’Onu. Vale più un incasso per commercio di prodotti poi utilizzati a fini bellici o repressivi o la vita di un giovane in carcere da 14 mesi senza processo?

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