Un bergamasco in Terra Santa: «Betlemme è deserta. Ma la popolazione aspira alla normalità»

LA TESTIMONIANZA. Ruben Agazzi, 62 anni, di Lallio è volontario dai frati della Custodia di Terra Santa. «Il mio impegno è un privilegio: non intendo andare via».

Betlemme, nei Territori Palestinesi, non è in questo momento il cuore del conflitto in corso in Terra Santa. Lontana un centinaio di chilometri dai bombardamenti della Striscia di Gaza, solo una decina da Gerusalemme, dove la tensione è maggiore, anche qui la vita è cambiata improvvisamente il 7 ottobre scorso, a riprova del fatto che ogni conflitto in quest’area ha pesanti ripercussioni sulla quotidianità di tutti.

Ruben Agazzi, 62 anni, di Lallio, è un volontario che presta il proprio servizio ai frati della Custodia di Terra Santa: libero professionista, gestisce con alcuni amici un piccolo birrificio di produzione artigianale nella Bergamasca, e un paio di volte all’anno torna nella città in cui è nato Gesù, dove dà una mano nella gestione dei Luoghi Santi – in particolare alla Grotta del Latte, in cui secondo la tradizione la Sacra Famiglia fece una sosta dopo aver lasciato la mangiatoia perché Maria doveva allattare Gesù – e dove Agazzi ha deciso di rimanere fino agli inizi di novembre.

«A Betlemme fino a venerdì 6 ottobre la situazione era molto tranquilla – racconta Ruben Agazzi –. Dopo il brutto colpo del Covid la città era finalmente piena di pellegrini, fondamentali per i betlemiti e in particolare per i cristiani locali: l’economia della città è infatti legata moltissimo ai pellegrinaggi e al turismo internazionale, tanto che questa probabilmente è stata una delle realtà che ha subìto più danni durante la pandemia. Si prospettava già un Natale pieno di persone provenienti da tutto il mondo. Quello che abbiamo avvertito da qui sabato 7 è stato il suono delle sirene dal vicino insediamento israeliano di Har Homa. E oggi sentiamo passare gli aerei israeliani, anche se a un’altezza notevole, che vanno verso la Striscia. Una delle prime conseguenze di quanto stava succedendo, come spesso accade quando c’è un allarme legato alla sicurezza, è stata la chiusura dei check-point alle porte della città (tra Betlemme e Gerusalemme corre il muro di separazione costruito nei primi anni 2000 da Israele, ndr), per cui per i gruppi di pellegrini non è stato immediato uscire. Al momento, comunque, nessun gruppo è bloccato qui».

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Il risultato è molto simile a quello che si poteva osservare durante gli anni del Covid: «Betlemme si è svuotata improvvisamente – racconta Agazzi –. Vuote le vie, vuoti i Luoghi Santi. Tutte le attività legate al turismo sono chiuse, le persone che vivono qui non possono far altro che trovarsi per strada a commentare quanto sta succedendo, c’è un senso di tristezza enorme. Da questo punto di vista, i Luoghi Santi mantenuti sempre aperti dai frati sono un importante luogo di conforto. A Betlemme non si registrano fatti di violenza significativi, ma quello che sta succedendo a Gaza ha già un effetto dirompente perché i betlemiti non sanno quando potranno riprendere la propria quotidianità: qui l’unico desiderio della maggior parte delle persone, cristiani e musulmani, è fare una vita normale e serena, lavorare, poter sostenere la propria famiglia, poter praticare la propria fede. Questa è una situazione che, di nuovo, li coinvolge ma che subiscono».

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Nessun interesse particolare a commentare quanto sta accadendo: «La situazione, lo sappiamo, è molto complessa. Credo che uno come me che viene da fuori non debba neanche porsi il problema di chi ha ragione e di chi ha torto. Ma assumere comportamenti rispettosi di luoghi che non sono nostri, e di persone che hanno logiche che non sono le nostre. Io cerco sempre di non venire qui “da ebreo” o “da palestinese”. So solo che da più di dieci anni io vengo per svolgere un servizio semplice, che ritengo in realtà un privilegio: aiutare i frati a custodire i Luoghi Santi: è un servizio vitale, che regala momenti di pienezza di vita».

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Per adesso da Betlemme non se ne va: «Al momento, e se la situazione non precipita, rimango – conclude Agazzi –. Non me la sento di andarmene solo perché sono italiano e avrei possibilità di farlo. Credo sia giusto condividere con queste persone i momenti belli ma anche le preoccupazioni».

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