Grandi idee ma all’Africa non servono le promesse

MONDO. Sotto il profilo della partecipazione per l’Italia è stato un grande successo: a discutere di Africa con il governo di Roma sono arrivati i rappresentanti di 46 Paesi, di cui 15 capi di Stato e 8 capi di governo, più delegati dell’Ue, dell’Fmi, dell’Onu e dell’Unione Africana.

S Se a Giorgia Meloni si chiedeva da tempo una prospettiva strategica per la sua politica estera, eccola: il «Piano Mattei» disegna per l’Italia un ruolo centrale, da cerniera, nel dialogo euro-africano che tutti considerano vitale per il futuro della vecchia Europa a confronto con il continente più giovane della Terra, quello più ricco di materie prime, segnato da grandi disuguaglianze, spesso tragiche, ma anche da gigantesche potenzialità. Un piano da sviluppare prima che cinesi, russi, indiani, sauditi piantino le loro bandiere neocoloniali in terra africana; viceversa il piano che Meloni propone è «da pari a pari», come intendeva Enrico Mattei appunto, «non predatorio e nemmeno caritatevole», insomma una occasione di «cooperazione allo sviluppo» come la si chiamò negli anni Ottanta quando quello che pure era un progetto avveniristico dell’Italia craxiana affogò nei processi per corruzione di Tangentopoli.

Adesso si torna a parlare di grandi idee: centri universitari di eccellenza in Marocco, produzione di biocarburanti in Kenya, impianti idrici antisiccità in Costa d’Avorio, agricoltura moderna in Algeria, ecc. Cinque le aree prioritarie: istruzione-formazione, salute, agricoltura, acqua, energia. La Penisola, in tutto ciò, si propone come l’hub energetico dell’Europa, la cerniera insomma tra le due sponde del Mediterraneo, quelle che storicamente abbiamo unito già 2500 anni fa.

L’Italia in questo progetto ci mette 5,5 miliardi, parte li prende dal fondo della cooperazione, altri dalle risorse per il clima: pochi, in verità anche se accompagnati dall’impegno di cercarne altri nel bilancio nazionale. E il punto sta proprio qui. Dall’Europa – erano presenti a Roma von der Leyen, Michel, Metsola – sono arrivati (come in altri casi: vedi l’immigrazione) segnali di grande incoraggiamento, complimenti, consigli e rassicurazioni ma senza veri impegni finanziari. L’Italia, come ha giustamente detto Giorgia Meloni, prende l’iniziativa ma da sola non può farcela, ha bisogno di un impegno sostanziale dell’Unione, dove la sostanza si traduce in euro, tanti euro, che nelle speranze dovrebbero tornare indietro moltiplicati dopo aver promosso lo sviluppo dei Paesi africani. Purtroppo questo impegno, nero su bianco, al momento non c’è.

Cosa di cui gli africani sono ben consapevoli, e lo si è capito dal discorso, gentile ma puntuto, pronunciato dal presidente dell’UA, Moussa Faki. Il quale ha detto chiaro e tondo che non si accontenta più di promesse che non vengono mantenute – frase che contiene tutto il rancore accumulato in tante occasioni perse – e che si aspetta «che si passi dalle parole ai fatti». Inoltre Moussa Faki non ha mancato di far sapere che avrebbe gradito di «essere coinvolto» nell’elaborazione del piano che Giorgia Meloni ha esposto. In effetti, il mancato coinvolgimento dei Paesi africani erode quel criterio («da pari a pari») enunciato solennemente durante il summit dalla premier italiana.

Alla quale tuttavia non si può rimproverare se la strada che ha intrapreso è in salita: che lo sia è una ovvietà. Il suo risultato politico è quello di averla individuata, e poi imboccata e di essere riuscita a farsi seguire dalla gran parte dei soggetti internazionali aggregabili intorno ad una iniziativa italo-euro-africana. Da questo punto di vista la critica delle opposizioni su «un’inutile passerella» per «un piano che non c’è» e che «distrae fondi già destinati in bilancio e non trasferibili» assomiglia a colpi a salve sparati ai margini della scena per tentare di fare un po’ di rumore.

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