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Mercoledì 05 Novembre 2025
Il Vescovo di Bergamo: «Ritornare in Terra santa per dare respiro e speranza»
L’INTERVISTA. Il Vescovo di Bergamo, Francesco Beschi, traccia un bilancio del pellegrinaggio della Conferenza episcopale lombarda nei luoghi di Gesù. «Noi non possiamo giudicare, ma possiamo stare accanto, ascoltare, sostenere» chi soffre.
«È ora di tornare in Terra Santa» dice il Vescovo Francesco Beschi al ritorno del viaggio compiuto con gli altri Vescovi lombardi, quattro giorni intensi di preghiera e di incontri nei luoghi di Gesù. Il Vescovo racconta un’esperienza densa, di ascolto, tra comunità ferite e segni di speranza. Un pellegrinaggio che si è fatto gesto di vicinanza alle popolazioni travolte dal conflitto e, insieme, invito a riaprire la via dei pellegrinaggi come forma concreta di sostegno ai cristiani che vivono là, testimoniando fede, pazienza e resistenza. «La sofferenza è di tutti - sottolinea - ma la speranza non è morta. È frutto di una fede che sa guardare oltre le macerie, oltre l’odio e la vendetta».
Perché i vescovi lombardi hanno scelto di partire per la Terra Santa in un tempo tanto difficile?
«Il nostro pellegrinaggio nasce da un invito che ci era giunto alcuni mesi fa dall’allora custode di Terra Santa, padre Francesco Patton. Ci aveva chiesto di tornare, di farsi prossimi a quella terra e di promuovere nuovi pellegrinaggi. Parlandone tra noi, Vescovi lombardi, questo appello ha trovato ascolto e consenso. Abbiamo sentito che era un gesto da compiere non solo come pastori, ma come segno di comunione tra le nostre Chiese e con i cristiani che abitano nella terra di Gesù. Era importante “aprire la via”: dopo anni in cui i pellegrinaggi si sono rarefatti, riprendere il cammino significa restituire respiro e speranza a tante famiglie che vivevano anche grazie all’accoglienza dei pellegrini. Ma c’era anche un’altra motivazione: farci vicini alla grande sofferenza che attraversa quella terra. Non con giudizi affrettati o schieramenti, ma con uno sguardo di compassione e di ascolto. La Chiesa, lì, sta accanto a tutti coloro che sono vittime della guerra, senza distinzione».
Quattro giorni di viaggio, di grande intensità. Quali sono i temi principali che ha toccato questa esperienza?
«Abbiamo vissuto giornate densissime, anche se brevi. Due sono stati i fili che hanno attraversato tutto il pellegrinaggio: la preghiera e l’incontro. Abbiamo celebrato l’Eucaristia nei luoghi che custodiscono il mistero cristiano - Betlemme, Getsemani, il Santo Sepolcro - e ci siamo sentiti accompagnati spiritualmente da tutto il popolo delle nostre diocesi lombarde, che pregavano insieme a noi negli stessi giorni. Sapere di non essere soli, di essere sostenuti, è stato un dono grande. Anche chi ci ha accolto in Terra Santa lo ha percepito: questo pellegrinaggio non era solo nostro, ma di un intero popolo in cammino».
Quali sono stati gli incontri più significativi lungo il pellegrinaggio?
«Sono stati molti, tutti intensi. Il primo è stato con religiosi e laici lombardi che vivono e operano in Terra Santa: frati, suore, missionari, volontari. Persone che condividono con la popolazione locale il dramma ma anche la speranza, e che restano lì come segni di prossimità e preghiera. Poi abbiamo visitato una comunità beduina nel deserto, dove due suore comboniane hanno aperto una piccola scuola dell’infanzia e un laboratorio di cucito per le donne. Ci hanno accolti con grande calore, offrendoci il loro caffè e i loro ricami. È una realtà fragile: la loro terra è minacciata dagli insediamenti dei coloni, e non sanno se potranno restare. Ma continuano a vivere la loro quotidianità con dignità e fiducia».
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