Le bombe su Leopoli fermano di notte il treno dei volontari di rientro in Italia

IL RACCONTO. C’era anche Andrea Valesini, caporedattore del nostro giornale e fra i 110 volontari del Mean, sul treno fermo a Leopoli durante l’attacco russo.

Leopoli

Il convoglio ha rallentato e poi si è fermato. Erano circa le 5,30. Una sosta non prevista alle porte di Lviv (Leopoli), a una settantina di chilometri dal confine con la Polonia. Abbiamo pensato a una sosta tecnica, ne capitano, ad esempio per dare la precedenza a convogli in direzione opposta. Ma nel buio della notte in lontananza dal finestrino si vedevano bagliori come quelli prodotti dalle scariche dei tuoni. La luce però era gialla: quella delle esplosioni di missili e di droni. Si sono udite due esplosioni, una in particolare ha fatto tremare il convoglio.

Leggi anche

Il personale delle Ferrovie ucraine a bordo ha invitato anche i 110 italiani in viaggio verso il confine polacco a prepararsi all’evacuazione, una procedura prevista ma che non è stata necessaria. Dalle cuccette si udivano i colpi secchi della contraerea impegnata ad abbattere i droni. Il gruppo, di ritorno dal Giubileo della Speranza a Kiev e a Kharkiv, promosso dal Movimento europeo di azione non violenta, al quale hanno aderito anche venti bergamaschi, ha reagito con compostezza, certo con spavento ma soprattutto angoscia per gli ucraini davvero colpiti nei raid vicini.

Il personale delle Ferrovie ucraine a bordo ha invitato anche i 110 italiani in viaggio verso il confine polacco a prepararsi all’evacuazione, una procedura prevista ma che non è stata necessaria. Dalle cuccette si udivano i colpi secchi della contraerea impegnata ad abbattere i droni

Avevamo trascorso due giorni a Kharkiv, a una quarantina di chilometri dal confine con la Russia, una delle città ucraine più bombardate, dove la sirena antiaerea con l’invito ad andare a proteggersi suona una ventina di volte al giorno, soprattutto di notte. I pericoli erano nel conto, la prudenza d’obbligo. Ma sulla via del ritorno i rischi maggiori sembravano superati.

Nessun luogo in Ucraina è assolutamente sicuro perché ogni area può essere raggiunta da missili e droni a lunga gittata, quella di Leopoli anche dalla Bielorussia, secondo Stato aggressore

Invece da alcuni giorni gli invasori hanno compiuto attacchi anche contro infrastrutture ferroviarie, una stazione a Zaporizhzhia e un treno nell’oblast di Sumy. In tre anni e mezzo dall’inizio dell’invasione su larga scala, i convogli sono stati bombardati soprattutto nell’Est e nel Sud del Paese, 478 dipendenti delle Ferrovie ucraine sono stati uccisi. Un’istituzione che il popolo considera giustamente gloriosa perché nei primi due mesi della brutale aggressione portò in salvo 5 milioni di persone dalle zone investite da missili e carri armati russi, fino al confine polacco per poi espatriare. E perché i treni, come gli autobus, non hanno mai smesso il servizio rappresentando un mezzo per tenere unito il Paese, per non isolare città e villaggi, per scappare ma anche per rientrare a visitare i parenti o per tornare definitivamente in zone relativamente più sicure. Nessun luogo in Ucraina è assolutamente sicuro perché ogni area può essere raggiunta da missili e droni a lunga gittata, quella di Leopoli anche dalla Bielorussia, secondo Stato aggressore.

Il pensiero alle vittime

L’obiettivo del raid non era il treno con a bordo i 110 italiani ma quei luoghi illuminati dai bagliori, dove una famiglia è stata sterminata. Il pensiero va a questa famiglia, alle decine di migliaia di vittime civili della guerra di smembramento di uno Stato sovrano, alle migliaia di minori ucraini trasferiti a forza in Russia e che non torneranno più.

«Questa terra è bagnata di sangue e noi combattiamo per non morire», ha detto il Vescovo cattolico latino di Kharkiv, monsignor Pavlo Honcharu. Qui i soldati li chiamano «i nostri difensori». A questa definizione appartengono anche gli esponenti di organizzazioni non governative e di associazioni locali, i sindaci incontrati. Ma pure gli operai delle Ferrovie ucraine che divisi in squadre di intervento regionali ripristinano le linee danneggiate o distrutte dai raid. È il bene che opera in mezzo al male del conflitto.

Il treno con a bordo i 110 italiani è ripartito dopo due ore di sosta obbligata, non è stato evacuato perché il convoglio era più sicuro della superficie o degli edifici circostanti. È arrivato a destinazione in ritardo e la delegazione del Mean è rientrata in Italia, in luoghi comodi e sicuri. Il pensiero va a chi vive dove le persone sono ridotte a bersagli, in pericolo ogni giorno.

© RIPRODUZIONE RISERVATA