L’emergenza globale si chiama disparità

MONDO. Secondo Stiglitz e gli altri scienziati del team, una tempesta perfetta si è scatenata in un contesto globale che già da alcuni decenni ha progressivamente abbandonato le politiche di welfare che avevano regolato buona parte dei Paesi industrializzati a partire dagli anni ‘30 fino alla fine degli anni ‘70.

C’è un’emergenza globale che, se non gestita, è in grado di scatenare effetti devastanti tanto quanto quella climatica. Lo ha messo nero su bianco un team di esperti internazionali, guidato dal premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, incaricato, su impulso della presidenza sudafricana, dai Paesi del G20 (l’organismo che raggruppa i Paesi più industrializzati della terra) di redigere un rapporto sullo stato delle disuguaglianze e proporre possibili soluzioni. Il quadro restituisce una situazione allarmante, e Stiglitz, nelle sue conclusioni, è stato molto chiaro: «La nostra commissione è fermamente convinta che alcuni degli effetti peggiori della disuguaglianza siano sulla democrazia».

Viviamo in un mondo in cui l’1% più ricco ha acquisito il 41% della nuova ricchezza dal 2000, mentre il 50% più povero ha aumentato la propria ricchezza solo dell’1%

Secondo Stiglitz e gli altri scienziati del team, una tempesta perfetta si è scatenata in un contesto globale che già da alcuni decenni ha progressivamente abbandonato le politiche di welfare che avevano regolato buona parte dei Paesi industrializzati a partire dagli anni ‘30 fino alla fine degli anni ‘70. Su questo scenario socioeconomico, nel quale le rendite da capitale sono cresciute enormemente a livello globale fino a superare i redditi da lavoro, si sono abbattuti in breve successione di tempo la pandemia del Covid-19, lo choc della guerra in Ucraina e le turbolenze economiche causate dalla nuova politica aggressiva Usa sui dazi.

Viviamo in un mondo in cui l’1% più ricco ha acquisito il 41% della nuova ricchezza dal 2000, mentre il 50% più povero ha aumentato la propria ricchezza solo dell’1%. E a proposito di rendite da capitale: nei prossimi dieci anni saranno tramandati agli eredi 70 trilioni di dollari di ricchezza. Sullo sfondo il progressivo scollamento tra valori democratici e quella nuova forma di capitalismo che è il cosiddetto «rent-mutated capitalism», in cui il potere economico migra dal detentore di beni e servizi (i tradizionali «mezzi di produzione») a chi ne controlla l’accesso attraverso un sistema di proprietà e diritti esclusivi.

In società diseguali, si legge nel report, «la concentrazione estrema della ricchezza si traduce in concentrazione del potere politico». Una società ad alta disuguaglianza, è il monito degli esperti interpellati dal G20, ha sette volte più probabilità di subire un declino democratico. ll mondo, così come lo conosciamo, potrebbe implodere sotto la pressione della disuguaglianza, dando il via a una nuova era di oligarchie, che governano già in forme più o meno larvali su una buona parte del pianeta. La sfida è epocale.

Come con l’emergenza climatica

Secondo uno studio di Oxfam, in un solo giorno un individuo appartenente allo 0,1% più ricco del pianeta emette più C02 di quella prodotta in un anno dal 50% più povero della popolazione mondiale

Per questo il team di Stiglitz ha proposto un approccio simile a quello dell’emergenza climatica: partire dai dati, condividerli nella forma più ampia possibile, cercare di governare il cambiamento. I principi cardine sono tre: riprogettare le norme sulla proprietà intellettuale (in particolare in relazione alle pandemie e ai cambiamenti climatici, pensiamo alla recente pandemia, quando gran parte della popolazione mondiale fu esclusa dall’accesso ai vaccini perché non poteva permetterseli), riscrivere le norme fiscali per garantire una tassazione equa delle multinazionali e degli ultra-ricchi, rivedere le regole del debito dei Paesi in difficoltà. Come nelle politiche climatiche, l’orizzonte di azione è ampio nello spazio e nel tempo e la variabile di cui tenere necessariamente conto è quella demografica. Come ha ricordato Paolo Alfieri ieri su Avvenire, entro il 2050, in Africa, sarà nato un terzo dei giovani di tutto il mondo. E forse non è un caso se nel comitato scelto dal Sudafrica per tracciare le linee per combattere la disuguaglianza non sia presente nessun esperto europeo (a parte l’americano Stiglitz, vengono dal Brasile, dall’India, dal Sudafrica e dall’Uganda).

Tra questi Jayati Gosh, economista indiana, che in una lezione alla London School of Economics ha ricordato: «La disuguaglianza è il motore fondamentale della crisi climatica». Le due grandi crisi del nostro tempo sono strettamente intrecciate: secondo uno studio di Oxfam, in un solo giorno un individuo appartenente allo 0,1% più ricco del pianeta emette più C02 di quella prodotta in un anno dal 50% più povero della popolazione mondiale.

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