Adolescenti e quelle «vite fragili in vetrina se tutto è a misura di “like”»

PARTECIPA AL SONDAGGIO. La 27ª edizione dello studio di Laboratorio Adolescenza condotto a livello nazionale con l’istituto Iard. Il presidente Tucci: «Crescente senso di frustrazione. Confronto quotidiano con la tagliola dei social». Vai ai quesiti online.

Crescere oggi è un equilibrio fragile. Tra like, follower e social che dettano ritmi e confronti, gli adolescenti italiani si muovono tra desiderio di visibilità, fragilità emotiva e una costante ed estenuante competizione tra pari. La 27ª edizione dello studio di Laboratorio Adolescenza, condotto con l’Istituto di ricerca Iard su un campione nazionale rappresentativo di 3.160 studenti (fascia di età 12-19 anni), con il patrocinio della Società Italiana di Pediatria e della Società Italiana di Ginecologia dell’infanzia e dell’adolescenza, mostra come i social network siano diventati centrali nella vita quotidiana: l’86,5% dei ragazzi (91% delle ragazze) pubblica foto o reel, con il 17,5% che lo fa spesso, e molti considerano i follower una misura della propria popolarità, con aspirazioni verso l’influencer status.

Il peso degli influencer

L’imitazione degli influencer è molto diffusa – circa l’80% degli adolescenti copia stili di abbigliamento, acconciature e atteggiamenti – e l’apparenza fisica resta un fattore importante per «funzionare» online. Accanto a questa esposizione costante, emergono comportamenti a rischio: il 13% degli adolescenti ha partecipato a «challenge» online (le sfide che spesso arrivano a conseguenze estreme) e il 9,5% intende farlo, spesso senza la consapevolezza di genitori o insegnanti.

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Pessimismo e preoccupazione

Il quadro emotivo e la visione del futuro sono segnati da pessimismo e preoccupazione: il 62,4% dei ragazzi vede il domani come «grigio» o incerto, e solo il 37% si dichiara fiducioso. Le principali ansie riguardano guerre (53,6%) e degrado ambientale (48,7%), più che malattie o epidemie. Le scelte di mobilità mostrano un’apertura al cambiamento: solo un terzo pensa di restare nella propria città o regione, un altro terzo si immagina in altre zone d’Italia e la maggioranza relativa all’estero. Le ragazze, in particolare, sembrano più orientate a lasciare casa. Per quanto riguarda le relazioni, la maggior parte ne desidera una stabile prospettando convivenze o matrimoni, e figli. La scuola è percepita come «moderatamente piacevole», ma non mancano noia o sensazione di ambiente poco stimolante, mentre i rapporti familiari risultano meno sereni rispetto al passato, con conflitti più evidenti.

L’analisi dei dati

In questo contesto complesso, abbiamo parlato con Maurizio Tucci, presidente di Laboratorio Adolescenza, per interpretare i dati e comprendere cosa significhi diventare grandi oggi in Italia.

«Siamo arrivati alla 27ª edizione consecutiva, senza interruzioni – spiega Tucci –. Questo ci permette di avere una prospettiva unica: ogni anno poniamo alcune domande identiche, così possiamo seguire i cambiamenti nel tempo. Poi inseriamo anche quesiti legati all’attualità: durante il Covid, ad esempio, c’erano molte domande sull’epidemia, oggi ci concentriamo molto sull’atteggiamento dei ragazzi verso il futuro».

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Come è cambiata la geografia dell’adolescenza italiana?

«Le ragazze appaiono sempre più mature, con un pensiero adulto; i ragazzi, invece, tendono a essere più superficiali e disinteressati, anche nello studio»

«Con il passare degli anni le differenze territoriali si sono molto assottigliate. Nord, Sud e Centro si somigliano sempre di più, grazie anche a internet che ha omologato esperienze e linguaggi. Rimane qualche differenza tra i ragazzi delle province e quelli delle aree metropolitane. Le uniche differenze davvero significative oggi sono quelle di genere: le ragazze appaiono sempre più mature, con un pensiero adulto; i ragazzi, invece, tendono a essere più superficiali e disinteressati, anche nello studio».

«Adesso il trend pre-Covid si è ripreso: i conflitti sono tornati, vissuti in modo più pesante dalle ragazze, che hanno maggiore maturità, voglia di indipendenza e meno tolleranza verso le proibizioni che spesso restano più forti nei loro confronti invece che dei maschi»

E per quanto riguarda la famiglia?

«Prima della pandemia si registrava un disagio crescente: la famiglia era percepita come critica o conflittuale. Durante il Covid, paradossalmente, nonostante le convivenze “forzate”, l’atmosfera familiare era migliorata. Adesso il trend pre-Covid si è ripreso: i conflitti sono tornati, vissuti in modo più pesante dalle ragazze, che hanno maggiore maturità, voglia di indipendenza e meno tolleranza verso le proibizioni che spesso restano più forti nei loro confronti invece che dei maschi».

Ci sono anche cambiamenti nelle domande che ponete?

«Sì. Alcuni temi che vent’anni fa erano centrali oggi non riusciamo più a indagare nello stesso modo. Penso ad esempio all’uso delle droghe. Questo perché l’intromissione dei genitori è diventata sempre più presente e limitante nella ricerca».

Negli ultimi anni emerge spesso il tema del futuro. Cosa vedete?

«Quello che colpisce di più è un crescente senso di frustrazione, disillusione e pessimismo. Molti ragazzi vedono il mondo come un luogo precario: temono di non trovare lavoro, di non avere prospettive di miglioramento rispetto alla famiglia d’origine, di vivere in un contesto segnato da guerre e degrado ambientale. Tre anni fa la grande paura era la pandemia; oggi sono la guerra e l’ambiente. Per molti, l’aspettativa migliore è “non peggiorare” la propria situazione».

«Quello che colpisce di più è un crescente senso di frustrazione, disillusione e pessimismo. Molti ragazzi vedono il mondo come un luogo precario: temono di non trovare lavoro, di non avere prospettive di miglioramento rispetto alla famiglia d’origine, di vivere in un contesto segnato da guerre e degrado ambientale»

Anche la scuola e l’università sembrano perdere attrattiva…

«Sì, vediamo una minore predisposizione a intraprendere gli studi universitari. Questo si lega anche al contesto sociale ed economico incerto, ma anche all’influenza dei social. I ragazzi sono protagonisti di una continua esposizione: parlano del proprio privato, mettono in vetrina se stessi, si confrontano ogni giorno con la tagliola dei like e dei follower. Autostima e autovalutazione si basano su questo, ed è una dinamica che può diventare molto critica».

Lei parla spesso di fragilità. Dove la vede più chiaramente?

«La vedo nella difficoltà ad affrontare frustrazioni e rifiuti. Sempre più spesso i ragazzi faticano ad accettare la fine di una relazione o il “no” di fronte a un desiderio. C’è una forte domanda di sicurezza e protezione, alimentata anche da famiglie “chioccia” molto presenti nella vita scolastica. Ma così facendo non si aiutano i ragazzi a crescere perché l’essere protetti, purtroppo, ha una scadenza e prima poi bisogna affrontare la vita da soli. Per sentirsi sicuri serve tempo, e loro hanno bisogno di imparare ad affrontare difficoltà e frustrazioni, non di evitarle».

Oggi gli adolescenti italiani sono diversi a seconda delle provenienze?

«Direi che sono uguali, perché il loro primo punto di riferimento sono i social e internet. Lì vivono lo stesso mondo, le stesse esperienze, gli stessi linguaggi. Questo contribuisce a uniformare le nuove generazioni ben oltre i confini geografici».

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