Aiuti alle mamme lavoratrici: «Non siano misure spot, servono interventi strutturali»

LE NOVITÀ. Da questo mese scatta la decontribuzione per le mamme lavoratrici: devono essere assunte a tempo indeterminato e avere almeno due figli. Per sindacati e associazioni l’agevolazione ha però dei limiti, per tempi e platea.

Da questo mese scatta la decontribuzione (fino a 3mila euro annui) per le mamme lavoratrici. Il bonus - inserito nella Legge di Bilancio approvata dal governo Meloni - vale per le donne a due condizioni: che siano assunte a tempo indeterminato e che abbiano almeno due figli. L’agevolazione che, come il bonus asili nido (fino a un massimo di 3.600 euro annui), è stata pensata per favorire l’occupazione femminile e sostenere le famiglie, per sindacati e associazioni va nella direzione giusta ma mostra dei limiti. Sia per l’arco temporale che copre sia per la platea a cui si rivolge. Per le mamme che hanno tre o più figli, infatti, l’esonero del 100% della quota dei contributi spetta fino al compimento dei 18 anni del figlio più piccolo e vale per i periodi di paga dal 1° gennaio 2024 fino al 31 dicembre 2026. Per le mamme di due figli, invece, l’agevolazione spetta fino al compimento dei 10 anni, ma solo fino al 31 dicembre 2024.

«Serve una vera legge»

«Le nuove norme del governo sono un buon passo in avanti, ma la strada è ancora lunga – commenta Leandro Allevi, presidente del Forum bergamasco delle associazioni familiari –. Restano delle misure spot, non c’è una vera legge a sostegno della famiglia». Il paragone con altri Paesi, come Francia, Germania e Spagna, non regge. «Stati che, indipendentemente dal reddito, danno 250 euro a figlio al mese; dove se la donna è incinta può rimanere a casa con lo stipendio pieno fino ai 18 mesi del figlio più un sussidio per gli acquisti di prima necessità (pannolini, latte..). Misure che hanno dato buoni effetti sulla natalità: infatti loro crescono, noi diminuiamo». Per Allevi deve esserci anche più attenzione «per le famiglie numerose. La tassazione non può essere uguale per chi ha 1-2 figli e per chi ne ha 4-5». E anche l’Isee , la base per determinare le agevolazioni, viene definito «troppo avaro, aspro, sono cifre irrisorie».

Anche il mondo sindacale rileva delle «ombre» nelle nuove misure. «La Cisl guarda sempre in modo positivo agli strumenti messi in campo per favorire la partecipazione della donna al mercato del lavoro – premette Candida Sonzogni, della segreteria provinciale –. Il tasso di occupazione femminile in Bergamasca (57,8%) è infatti sotto la media lombarda ed europea (65%)». È quindi evidente la necessità di intervenire, e Sonzogni puntualizza: «Servono misure strutturali, non a spot, che affrontino sul lungo periodo le questioni complesse del sostegno alla natalità e alla genitorialità. Le norme, quindi, devono essere permanenti nell’ordinamento, e non della durata di una manovra o di una annualità». Per far permanere la donna nel mondo del lavoro «non bastano la decontribuzione e i sostegni economici. Serve un’organizzazione diversa del lavoro, che renda possibile la conciliazione dei tempi; serve una rete capillare ed efficiente di servizi sul territorio». Senza trascurare che il sostegno «dovrebbe partire dal primo figlio, per permettere alla famiglia una progettualità sin da subito».

Le stime della Cgil

Secondo i dati elaborati dall’Ufficio studi Cgil, in provincia di Bergamo (Osservatorio Mercato del lavoro della Provincia) la retribuzione media annua delle lavoratrici a tempo pieno e indeterminato si colloca attorno ai 28mila euro (maschi: sopra i 35mila). Per le lavoratrici a tempo determinato attorno ai 10mila euro (uomini: 13mila). «Poiché i contributi previdenziali a carico dei dipendenti sono circa il 9,5% il risparmio per le lavoratrici a tempo indeterminato si aggirerà attorno ai 200 euro – osserva Orazio Amboni, con delega al Welfare –. Considerato che le donne sono il 30% dei dipendenti a tempo indeterminato e il 73% dei dipendenti a tempo determinato, il contingente di lavoratrici interessato è assai ristretto, e ancor più ristretto se si considera che la Legge limita il beneficio alle lavoratrici madri dal secondo figlio in poi». Le famiglie con cinque componenti sono in media in Italia il 3,7%: «Ma in quante di queste la madre riuscirà a trovare il tempo anche per un lavoro dipendente? La priorità data ai problemi delle famiglie numerose pare, oggi, più dettata da una scelta ideologica, che da un’analisi della realtà sociale e demografica», sostiene Amboni. Dall’osservatorio Cgil, emerge poi «che tra le donne lavoratrici che si rivolgono ai nostri sportelli il problema prevalente non sono i figli ma l’assistenza a genitori anziani non autosufficienti. È questa la principale causa di abbandono del lavoro da parte di lavoratrici over 40». Per quanto riguarda l’investimento sugli asili nido Amboni non ha dubbi: «C’è ancora molta strada per colmare le enormi diversità territoriali e questa per noi è una priorità. Dalla pubblicazione Istat sui nidi, si vede come la principale priorità per l’accoglienza sia la condizione lavorativa di entrambi i genitori mentre agli ultimi posti stanno le condizioni sociali di fragilità».

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