Appello dell’oncologia bergamasca: «Una rete territoriale per cure di prossimità»

Sanità Alla conferenza del Dipo l’appello dei principali attori alle istituzioni. «Alleanza pubblico-privato, terapie a domicilio e nelle Case di comunità»

Il territorio. La nuova narrazione della sanità ne ribadisce quotidianamente l’importanza. Nuove idee e nuovi progetti s’affacciano anche per l’oncologia, ramo specialistico tradizionalmente identificato nell’ospedale, e che invece potrebbe essere declinato attraverso nuovi metodi. Di prossimità, più vicini al cittadino. È quello su cui stanno lavorando le Asst e alcune strutture private, facendo i conti tra la buona volontà e la concretezza delle risorse che occorre trovare (o ricevere). Anche di questo s’è parlato venerdì 10 giugno alla conferenza annuale del Dipo, il Dipartimento interaziendale oncologico provinciale di Bergamo, la rete che mette a sistema tutti gli attori impegnati sul tema. Perché come rilevato anche da Carlo Tondini, direttore dell’Oncologia del «Papa Giovanni» e coordinatore del Dipo, «con la nuova riforma sanitaria l’interazione fra le strutture ospedaliere e il territorio dovrebbe diventare molto più funzionale».

«C’è la volontà di creare un’oncologia territoriale e di prossimità, perché una parte di pazienti può essere seguita anche a livello territoriale, tramite per esempio la figura del case manager. È un progetto ancora in fase embrionale, ma che parte da alcune esperienze come il pronto intervento diagnostico»

Nella tavola rotonda che ha chiuso ieri il convegno, moderata da Alberto Ceresoli, direttore de «L’Eco di Bergamo», sono stati raccontati alcuni progetti. «Delocalizzazione» è la parola chiave scelta da Cristina Caldara, responsabile dei Processi socioassistenziali territoriali della Direzione professioni sanitarie e sociali del «Papa Giovanni»: «C’è la volontà di creare un’oncologia territoriale e di prossimità, perché una parte di pazienti può essere seguita anche a livello territoriale, tramite per esempio la figura del case manager. È un progetto ancora in fase embrionale, ma che parte da alcune esperienze come il pronto intervento diagnostico».

Di «oncologia territoriale» parla anche Andrea Luciani, direttore dell’Oncologia dell’Asst Bergamo Ovest: «Già prima del Pnrr avevamo messo a punto un progetto per l’oncologia territoriale: che si articola non solo con prelievi o medicazioni ma anche attraverso l’erogazione, per i pazienti vulnerabili, di alcuni trattamenti oncologici a domicilio. Questo consente di decongestionare l’ospedale e di coinvolgere il territorio». Il dialogo col territorio è sottolineato anche da Giuseppe Nastasi, direttore dell’Oncologia dell’Asst Bergamo Est: «Ritengo il medico di medicina generale il più importante nel percorso di cura del paziente: un bravo medico di base sicuramente intercetta una patologia, invia prontamente il paziente in ospedale e instaura con gli specialisti una collaborazione per il percorso diagnostico e terapeutico».

Un’iniziativa è in cantiere anche alla Casa di cura San Francesco, realtà del «privato sociale»: «Stiamo lavorando sulla presa in carico dei pazienti seguiti per i cicli di chemioterapia – spiega Silvia Bignamini, direttore sanitario della struttura -. Con il “Papa Giovanni” abbiamo scelto un approccio hub and spoke: la preparazione dei farmaci avviene tramite la Farmacia ospedaliera del “Papa Giovanni”, l’infusione del trattamento avverrà in San Francesco. Partiremo da fine agosto. Potremo farci carico di un centinaio di pazienti, e questo è l’inizio di un esempio di rete» Altro tema, «il percorso della trasfusione a domicilio – aggiunge Anna Falanga, direttore della Medicina trasfusionale del “Papa Giovanni” -: esiste già, anche se è complesso».

Ma servono le risorse

Progetti per disegnare una nuova sanità, ma che necessitano di risorse. Economiche e umane. In filigrana scorre un appello alle istituzioni, a partire dal livello regionale, ma sul tavolo del dibattito restano anche i temi concreti della quotidianità. Come lo stress che vive la medicina di base. «Da due anni si parla di territorio senza sapere bene cosa sia il territorio – rileva Paola Pedrini, segretaria dell’Ordine dei medici di Bergamo e alla guida della Fimmg Lombardia -. Il Pnrr, per esempio, finanzia i “muri”, le infrastrutture. Qualcosa è stato fatto aumentando le borse di studio, ma a livello di risorse umane non c’è stato alcun investimento». Il «Papa Giovanni» entro luglio aprirà la Casa di comunità di Sant’Omobono: «Per andare avanti è necessaria l’integrazione dei medici di base», osserva Caldara. «Gli organici sono asfittici – riconosce Nastasi -. Si cerca di fare rete, e sarebbe importante anche avere dei sistemi informatici che funzionino meglio». «Perché tutti questi progetti si concretizzino – nota Luciani – è necessario avere le risorse umane».

«Integrare» le Case di comunità

Per Laura Mantegazza, di Ats Bergamo, la riforma rappresenta «un’opportunità positiva»: «Sono quattro le Case di comunità già attivate in Bergamasca, un’altra sarà in attivazione nelle prossime settimane – aggiunge -. All’interno delle Case di comunità sono già state aperte le agende a cui possono accedere i medici di base, per indirizzare lì i pazienti e inserirli nella nuova rete di servizi. Per il paziente cronico, c’è la possibilità di accedere a tutta una serie di servizi importanti. Chiaro, siamo in una fase in cui si stanno ancora tarando le necessità». Nell’ampio dibattito avviato nel convegno di ieri, il raccordo col territorio è stato appunto fondamentale: «Il ruolo dei medici di medicina generale nelle Case di comunità è soprattutto negli spoke, nella medicina di gruppo – rileva Roberto Longaretti, medico di base in Val Cavallina e componente del direttivo del Dipo -. Serve però promuovere un’efficace medicina di gruppo: il numero di assistiti sale, i medici di base possono rispondere a queste esigenze solo se hanno una segretaria, un’infermiera e se si uniscono».

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