Covid, il dolore di chi è rimasto: «Nel ricordo dei nostri cari la forza di andare avanti»

I ricordi. Il marito dell’ostetrica Ivana Valoti: «Ha lasciato un segno forte». L’artista che perse due sorelle: «Dipingo la luce, sollievo nella disperazione».

Non c’è famiglia che tre anni fa non sia stata travolta dalla pandemia. Il dolore non passa, l’assenza pesa, ma la vita con i suoi cambiamenti dà forza. «Si può e si deve andare avanti. O ci si lascia andare o, con tanta buona volontà, ci si rimbocca le maniche e ci si rimette in moto», Roberto Cortesi prova a spiegare come si è rialzato. Il 15 marzo 2020, nello tsunami del Covid, ha perso la moglie Ivana Valoti, ostetrica dell’ospedale di Alzano, conosciuta in tutta la Valle Seriana per la sua dedizione. Un amore che sboccia adolescente all’oratorio di Nembro, il loro paese. Ivana già studiava per realizzare il suo sogno: diventare ostetrica. Metà vita insieme, e poi il virus a separarli, troppo presto: lei aveva 58 anni, lui due in meno. «Sì, è stato un colpo di fulmine», Roberto ricorda il primo incontro, perdendo il conto di quanti bambini Ivana ha fatto nascere dopo: «Un’infinità».

«Ivana vive negli occhi dei suoi nipotini»

Tra loro la nipotina Matilde, una biondina tutta pepe: «La prima foto le ritrae insieme, in ospedale. Matilde è nata tre mesi prima che la nonna se ne andasse. È la sua fotocopia, bellissima come lei». Nel frattempo, a gennaio, è arrivato anche Leonardo. «Sono diventato nonno per la seconda volta – racconta Roberto –. Un momento fortissimo dal punto di vista emotivo. Da un lato la gioia immensa, dall’altro la difficoltà di viverla senza Ivana, lei che faceva proprio quel mestiere. In sala parto, ad Alzano, però mi hanno raccontato che è stato l’”Ivana Day”: tutti i colleghi, medici e infermieri, dicevano: se ci fosse stata Ivana avrebbe fatto così, avrebbe detto cosà». Che nonna sarebbe Ivana? «Difficile dirlo, io so che madre super è stata con i nostri due figli. Posso però testimoniare che da nonni si “rimbambisce” completamente».

Leggi anche

Roberto, a quasi 60 anni, parla del lavoro da artigiano imbianchino «che per fortuna c’è e distrae», della foto grande del matrimonio che campeggia ancora nella stanza da letto, di quando al cimitero la famiglia va a portare i fiori. Ma preferisce non tornare a tre anni fa. «Il lunedì Ivana è stata portata via da casa ed è stata ricoverata in ospedale e la domenica l’ho vista tornare in un vaso di ceneri. Non l’ho potuta accompagnare, non le ho potuto stare vicino, mi sono sentito così impotente». Giorni troppo brutti, fa male raccontare. «Se si continua a guardare indietro, non se ne esce più – riflette –. È meglio non chiedersi troppi perché, è andata così perché doveva andare così, senza cercare colpe e colpevoli». Ivana «è stata tolta dalla testa e messa sul cuore. Il vuoto resta, ma Ivana la sentiamo tutti molto presente, c’è». L’ospedale di Alzano le ha dedicato l’Aula Multimediale. «Ivana ha lasciato il segno, non solo in famiglia, ma anche nell’ambito lavorativo e del volontariato, dove era molto impegnata, ci ha reso orgogliosi», Roberto trova la forza nell’esempio. E negli occhi vispi di Matilde e Leonardo.

«In quei giorni non sapevamo cosa fare»

Francesco Zambonelli, di Villa di Serio, tre anni fa nel giro di poche settimane ha perso i genitori: la mamma il 22 febbraio 2020, il papà il 13 marzo dello stesso anno. Lei 84 anni, lui 85, qualche acciacco dell’età, vivevano insieme, se la cavavano. «Mamma era ricoverata per problemi cardiaci nel reparto di Medicina del’ospedale di Alzano – racconta il figlio –. È morta il giorno prima che scoppiasse il primo caso. Ufficialmente la causa non è stata il Covid, ma non le è stato fatto il tampone e visto che le sue compagne di stanza sono morte tutte per il virus difficile pensare che non fosse stata contagiata».

Leggi anche

Il papà inizia ad avere la febbre, viene ricoverato il 28 febbraio ad Alzano poi, dopo il tampone positivo, trasferito a Bergamo, dove muore il 13 marzo. «Lo stesso giorno mancherà anche una mia zia di 72 anni», Francesco ricorda il bollettino, «uno stillicidio: in venti giorni a Villa di Serio tantissimi morti. Anche noi in famiglia ci siamo ammalati tutti». Non si capiva bene cosa stesse succedendo, difficile ricostruire quelle ore d’emergenza, senza tamponi, senza mascherine. «Provo una grande tristezza – ammette Francesco –. Mi sono chiesto se avessi fatto bene a portare mio papà in ospedale, ma poi vedevo anche tanta gente morire in casa, senza ossigeno. Non c’erano risposte su quello che era giusto e meglio fare».

La speranza ora è «che non si rivivano più delle situazioni del genere. È bene che la Procura faccia luce su quello che è accaduto. Soprattutto per capire se ci sono stati degli errori ed evitare di ripeterli. Anche se le persone morte comunque non saranno più ridate indietro ai loro parenti».

La luce nell’arte dopo la perdita di due sorelle

C’è anche chi ha sublimato nella luce dell’arte quei giorni neri. Virginio Mazzoleni Ferracini, pittore originario di Costa Valle Imagna ma residente a San Paolo d’Argon, nel giro di dieci ore ha perso le due sorelle. «Alle 17 del 22 marzo è morta in casa Domenica, alle 3 di notte del 23 marzo se n’è andata Teresina, che era ricoverata all’ospedale di San Giovanni Bianco». Erano le settimane più dure. «Non c’erano ambulanze, non si trovavano i medici», racconta Mazzoleni Ferracini. In cinque tele ha quindi cercato di rappresentare «la luce divina della Misericordia che ha dato sollievo in quei momenti di disperazione». Un dipinto è dedicato alle sorelle, ed è nello studio dell’artista. Un altro è stato donato dalla classe 1949 al paese di Costa «che nel suo piccolo ha pagato un tributo altissimo: 13 vittime su 550 abitanti». Il terzo è stato dedicato ai volontari «che hanno dato anche più di quello che era nelle loro forze» e il quarto era di Pasqualino Brumana, il medico di base della Valle Imagna, recentemente scomparso. «Una persona che c’era sempre per i suoi pazienti, giorno e notte».

© RIPRODUZIONE RISERVATA