Dalla Siria al Villaggio degli Sposi: «Qui un presepe di pace»

STORIA DI NATALE. Osama, Katia e Cristina salvati grazie ai corridoi umanitari: «Per noi è un grande dono rivivire il Natale in famiglia».

Fino allo scorso anno, Natale era un giorno come un altro, di assoluta povertà, nell’anonimato di una precaria quotidianità ulteriormente appesantita dall’angoscia della sopravvivenza. Quest’anno invece per Osama, la moglie Katia e la figioletta Cristina di 4 anni, il Natale è una casa riscaldata, illuminata, con acqua corrente e cibo in tavola.

La famiglia Farah, di religione cristiana, ha vissuto la devastazione della Siria. Abitava a Homs, città da 775mila residenti vicina al Libano, terza per popolazione dopo Damasco e Aleppo. Ora però può gustare un Natale di libertà grazie ai corridoi umanitari utilizzati per l’accoglienza in Italia da parte della Comunità di Sant’Egidio tramite la collaborazione dell’associazione «Abbracciaperte» di Bergamo e della parrocchia San Giuseppe al Villaggio Sposi. È per queste tre preziose realtà che Osama ha potuto riabbracciare il fratello Wasim e la sua famiglia, composta dalla moglie Loubana e le figlie Shahd e Raha, arrivati cinque anni fa al Villaggio degli Sposi con il primo progetto di accoglienza e oggi perfettamente autonomi e integrati nella comunità.

Cristiani mandati in prima linea

Oggi tutti conosciamo il dramma dell’Ucraina, di Israele e Palestina, ma in pochi ci ricordiamo della Siria dove, dopo 12 anni di guerra, si fatica a costruire il domani, in uno Stato frantumato da divisioni e guerriglie interne e da un’economia al collasso. Osama e Katia sono fuggiti per donare un futuro alla loro figlia e anche a se stessi. Perché i cristiani, in Siria, sono una minoranza e i padri di famiglia vengono arruolati e spediti al fronte in prima linea come carne da macello. Destino che è già toccato ad Halil, fratello di Osama e Wasim: «Oggi avrebbe cinquant’anni, ma sono quasi dieci anni che non abbiamo notizie di lui, sparito in una guerra che ci ha decimati». E così sono scappati per evitare la stessa fine crudele. Osama era già in Libano da un anno con la famiglia con l’intenzione di intraprendere uno dei viaggi della speranza, quelli dei barconi nel Mediterraneo, che spesso si trasformano in tragedia. Ma il fratello che abita al Villaggio degli Sposi ha chiesto di poter attivare la procedura dei corridoi umanitari per salvarlo e così è stato.

Nella casa di via Azzanelli, vicina al nucleo originario delle villette fatte costruire da don Bepo Vavassori, la famiglia Farah respira l’atmosfera di accoglienza che il fondatore del Patronato San Vincenzo ha lasciato in eredità al quartiere. Ed è un clima avvolgente che restituisce a queste persone il Natale perduto, quello siriano vissuto nell’infanzia prima del conflitto: «Preparavamo tanti dolci – ricorda mamma Katia –, mettevamo vestiti nuovi e dopo la celebrazione in chiesa si festeggiava con un grande pranzo». Ricordi vividi ma che portano con sé le lacrime della commozione. Negli occhi, infatti, oggi hanno un altro Natale, con la loro città distrutta e invivibile: «Il 60 per cento delle case è stata rasa al suolo dai bombardamenti».

«Un missile è entrato in casa»

Loubana, che ha seguito un corso di italiano e che traduce dall’arabo, racconta di quel giorno che vide «un missile entrare dalla finestra, attraversare la sua casa e uscire da un’altra finestra. Siamo rimasti vivi per miracolo». Immagini surreali, quasi da film se non fosse che sono drammaticamente vere. In Siria si può morire per poco, anche solo per appartenenza a un’altra religione. La setta alawita è la più radicalizzata e ricopre ruoli chiave. A questo proposito il cognato Osama chiede di tradurre un episodio che l’ha sconvolto e che ancora oggi ha davanti agli occhi come un incubo che non svanisce: «Un giorno ho visto prendere 15 persone per strada e ucciderle con un’esecuzione immediata». La moglie Katia aggiunge che «i cristiani rischiano di morire anche solo presentando la carta d’identità. Tante persone sono in strada armate e basta un sorpasso in auto per essere freddati». Oggi la Siria è un Paese dove urgono aiuti umanitari perché attraversata da una crisi economica devastante e dove i bambini hanno negli occhi solo la guerra. «Un giorno abbiamo accompagnato le figlie di Wasim in gita in Città Alta – racconta Antonio Mascheretti dell’associazione “Abbracciaperte” – , quando all’improvviso i piccioni in piazza Vecchia si sono levati tutti in volo, le bimbe si sono spaventate: pensavano a un segnale di attacco aereo. Queste piccole sono cresciute nel terrore».

«Si mangia solo riso»

Paura e stenti. Perché la guerra porta sempre povertà: «La luce c’è solo un’ora al giorno – racconta Katia –, l’acqua una volta alla settimana e il gas non c’è quasi mai. Si sta al freddo. L’inflazione è alle stelle e la nostra moneta non vale più nulla. Lo stipendio mensile di un tecnico specializzato come mio marito (programmatore di macchine da cucire industriali) è di 5 euro al mese, ma 1 kg di carne ne costa 6! Anche il pane è molto caro: una pagnotta 2 euro. E la frutta non c’è. Si mangia solo riso». Una vita di sofferenze che domani per Osama, Katia e Cristina sarà archiviata dal grande dono di rivivere il Natale in famiglia al Villaggio degli Sposi: «Per noi una grande gioia, proprio come l’annuncio della nascita di Gesù. Ora, questo quartiere e questa parrocchia che ci hanno accolti sono il nostro presepe di pace».

© RIPRODUZIONE RISERVATA