Delitto di via Tiraboschi, oggi la prima udienza

IN TRIBUNALE. Giovedì 26 giugno inizia il processo per Sadate Djiram, il 28enne originario del Togo, che si trova in carcere a Monza, nel reparto di osservazione psichiatrica, per la morte del 36enne nativo del Gambia Mamadi Tunkara.

Bergamo

Un omicidio avvenuto nel primo pomeriggio del 3 gennaio in via Tiraboschi in città, nella galleria del passaggio Cividini. L’accusa per Djiram è di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi. Presente in tribunale uno dei fratelli della vittima; fuori in via Borfuro un amico di Mamadì che ha affisso striscioni e locandine sopra il cancello del Tribunale e chiede giustizia.

La ricostruzione dell’omicidio

Secondo la ricostruzione dell’accusa, il motivo dell’aggressione a Tunkara, che lavorava come addetto alla sicurezza del Carrefour di via Tiraboschi, sarebbe da ricercare in «una morbosa e accecante gelosia», che il togolese nutriva per la sua ex compagna, che lo aveva lasciato da poco tempo. Il togolese si era convinto, anche se questo pensiero non aveva nessun fondamento (e gli stessi accertamenti hanno escluso tale ipotesi), che Tunkara avesse iniziato una relazione con la sua ex.

Il fatto

Il 3 gennaio Djiram era quindi arrivato nella zona dove la vittima lavorava e, dopo averlo visto arrivare in bicicletta, l’aveva bloccato e spintonato contro una vetrina. Poi lo «aggrediva ferocemente» con un coltello da cucina (la lama era lunga 16 centimetri). Tunkara è stato colpito più volte: come emerso dall’autopsia, sono ben 11 le pugnalate ricevute, «anche quando era a terra esanime». L’azione del 28enne si era interrotta solo grazie all’intervento dei passanti, che gli gridavano di fermarsi. E mentre la vittima era a terra, l’omicida è fuggito.

L’arma del delitto

Correndo verso la stazione dei treni, si era disfatto del coltello (poi ritrovato nel cortile di un palazzo). Il giovane era stato poi rintracciato a Chiasso: la polizia elvetica l’aveva trovato senza documenti sul treno diretto a Lugano riconsegnandolo – come previsto dagli accordi internazionali – ai colleghi italiani. Djiram era quindi stato riportato a Bergamo, e davanti agli inquirenti, aveva ammesso l’omicidio.

«Ho distrutto due vite»

Dopo l’arresto, il 28enne ha poi confermato anche davanti al gip quanto dichiarato in questura alla pm Silvia Marchina, titolare del fascicolo e al procuratore aggiunto Maria Cristina Rota. Nell’interrogatorio di convalida del fermo si era poi detto «dispiaciuto per la famiglia di Mamadi», aggiungendo: «Ho distrutto due vite, la sua e la mia».

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