Giallo di Colognola, la colf ripeteva a tutti: «Non l’ho uccisa io»

IL CASO. Durante le indagini i familiari le chiedevano spiegazioni, lei respingeva con forza le accuse. Venerdì l’interrogatorio.

Per oltre un anno è stata sotto inchiesta, prima di vedersi notificare l’ordinanza di custodia cautelare che, mercoledì, le ha aperto le porte del carcere. Un anno in cui K. M., 25 anni, la colf ucraina accusata di aver ucciso la sua datrice di lavoro Rosanna Aber, 77, gettandola dalla finestra di casa a Colognola il 22 aprile 2022, è stata costantemente osservata e intercettata dagli investigatori della Squadra Mobile della questura, che ne hanno monitorato gli spostamenti e ascoltato le conversazioni. «Non l’ho uccisa io, non sarei capace di uccidere neanche una mosca», avrebbe ribadito più volte – intercettata dagli inquirenti – al compagno e ai familiari che, una volta trapelata la notizia dell’indagine a suo carico, le chiedevano spiegazioni. Anzi, K. M. sembrava avvalorare l’ipotesi che Rosanna Aber si fosse suicidata: «Se avessi saputo che voleva compiere un tragico gesto, l’avrei aiutata, l’avrei dissuasa», diceva. Anche mercoledì, dopo l’arresto, avrebbe negato con forza gli addebiti.

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I pedinamenti

Venerdì 17 novembre la colf, residente a Scanzorosciate con il compagno e mamma di una bimba di 5 anni, sarà interrogata in carcere dal gip Alessia Solombrino. Assistita dall’avvocato Andrea Pezzotta, potrebbe accettare di rispondere alle domande del giudice oppure avvalersi della facoltà di non rispondere, per permettere al legale di studiare la copiosa mole di atti raccolti dagli inquirenti, coordinati dai pm Emanuele Marchisio e Guido Schininà. Secondo chi indaga, il movente del delitto sarebbe da ricercare nella ludopatia: K. M. avrebbe sottratto soldi a Rosanna Aber per poi giocarli ai videopoker e, vistasi scoperta – è la tesi dell’accusa – l’avrebbe gettata dalla finestra. I pedinamenti e le intercettazioni avrebbero documentato che la ragazza si recava effettivamente a giocare in due bar gestiti da cinesi, uno a Gorle e uno a Bergamo. E che in più circostanze avrebbe mentito anche ai suoi familiari, dicendo di recarsi al lavoro quando invece si intratteneva alle macchinette.

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