«Il problema degli adolescenti? Noi adulti fragili e incoerenti»

L’INTERVISTA. Lo psicologo e psicoterapeuta Matteo Lancini: «Il patto che stabiliamo con loro è: “Ti ascolto, ma non provare né rabbia né tristezza”».

Più che ai ragazzi, certe domande è meglio porle agli adulti, scopriremmo per esempio che se gli adolescenti si preoccupano tanto di fallire, forse è perché abbiamo apparecchiato loro un mondo in cui non si sentiranno mai all’altezza delle aspettative. Matteo Lancini, psicologo, psicoterapeuta, presidente della Fondazione Minotauro (il suo ultimo libro è «Chiamami adulto, come stare in relazione con gli adolescenti» Cortina ed.), è quotidianamente a contatto con gli adolescenti, anche problematici. E dal suo punto di osservazione conferma le tendenze emerse anche dal sondaggio online de L’Eco di Bergamo.

Professor Lancini, quasi un ragazzo su cinque vede il suo futuro all’estero, è un messaggio di sfiducia?

«Abbiamo un doppio problema, da una parte una società che non riesce più a organizzare una scuola fatta per i ragazzi, tant’è che invece di organizzarla si preoccupa del 132° problema, quello del cellulare, perché è facile da risolvere e crea consenso popolare. E poi è noto come i ragazzi vedono il loro inserimento nel mondo del lavoro: guardi solo che età hanno i presidenti di alcune importanti associazioni parastatali sportive. Questo non è più un paese per giovani, lo dicono ormai tutti i demografi».

La scuola non viene quasi mai citata dai ragazzi nelle loro risposte.

Per fortuna ci sono ancora centinaia, migliaia di docenti che invece di interrogare i ragazzi si fanno fare le domande, che invece di proporre libri che già conoscono, scelgono un libro che non conosce nessuno, perché oggi il sapere si costruisce nel vuoto, dove nessuno sa»

«C’è in corso un esodo dalla scuola italiana, soprattutto degli adolescenti maschi, che a scuola stanno male. Sentono che è una scuola fatta per gli adulti e non per loro. Per fortuna ci sono ancora centinaia, migliaia di docenti che invece di interrogare i ragazzi si fanno fare le domande, che invece di proporre libri che già conoscono, scelgono un libro che non conosce nessuno, perché oggi il sapere si costruisce nel vuoto, dove nessuno sa».

Perché la guerra è una paura «minore» per gli adolescenti?

«Ci mancherebbe che degli adolescenti debbano avere paura della guerra! Fallimento e solitudine, queste sì sono le grandi paure in una società competitiva e individualista. I nostri ragazzi trovano adulti che fanno loro una grande promessa: “Ti ascolterò molto di più di quanto sia stato ascoltato io”. Ed è vero, perché io stesso ascolto i miei figli molto di più di quanto sono stato ascoltato, di quanto è stato ascoltato mio padre da mio nonno… Ma in questa grande promessa, in cui ognuno può esprimere se stesso, c’è una clausola: “Sono disponibile ad ascoltarti, a patto che tu non rompa le scatole. Cioè, possiamo essere noi stessi, a patto che tu non provi le emozioni che più mi disturbano: paura, tristezza e rabbia».

«Fallimento e solitudine, queste sì sono le grandi paure in una società competitiva e individualista»

Ma c’è una via di uscita da questa dinamica?

«Costruire una relazione autentica, che significa che hai di fronte uno capace di ascoltarti autenticamente, che non è annientato dalla tua paura, dalla tua tristezza e dalla tua rabbia (perché deve pensare ad altro o perché si sente inadeguato).Insomma, se sei vittima di una società di adulti fragili e dissociati, è chiaro che ti senti solo in mezzo agli altri e la via del fallimento è abbastanza, come dire, spianata».

«Se sei vittima di una società di adulti fragili e dissociati, è chiaro che ti senti solo in mezzo agli altri e la via del fallimento è abbastanza, come dire, spianata»

I punti di riferimento restano famiglia, amici e anche se stessi...

«Ma quali sono i modelli di famiglia e amicizia a cui fanno riferimento? Le nuove generazioni sono libere di fare, ma non di essere. Cioè di fare attività sportive, ma non di frequentare i cortili, andare a scuola da soli, sbucciarsi le ginocchia. Noi diciamo che è colpa di internet, mentre questo “sequestro dei corpi” era avvenuto già prima. Come se a questi ragazzi fosse stato insegnato sin da subito che l’”altro” non può essere una risorsa. I ragazzi, credo che i dati ci dicano questo, rimangono legati all’idea della famiglia perché la cercano per tutta la vita. Abbiamo creato una società dove nessuno chiede all’altro chi sei tu, dove la fragilità dell’altro è solo un disturbo. Così nell’amicizia: proprio perché è qualche cosa che crea un legame profondo è vista con sospetto. I ragazzi temono di rimanerci invischiati. E così legami di coppia, ma questa è un’altra storia».

«Abbiamo creato una società dove nessuno chiede all’altro chi sei tu, dove la fragilità dell’altro è solo un disturbo»

Ci sta dicendo che più che guardare ai ragazzi dobbiamo guardare che tipo di società stiamo costruendo per loro?

«Sto dicendo che per questi ragazzi servirebbero adulti coerenti, invece hanno davanti modelli dissociati. E glielo dico io, che combatto ogni volta con me stesso».

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