In 40mila sotto la soglia dei 9 euro all’ora. Ma sul salario minimo non c’è accordo

IL DIBATTITO. In Bergamasca ne beneficerebbe circa il 10% dei lavoratori privati. Cgil favorevole, Cisl contraria. Confindustria: «Nei nostri contratti retribuzioni già più alte». I commercianti: «Il problema sono i contratti pirata».

L’impatto reale è difficile da calcolare con precisione, e lo si coglierebbe solo con l’effettiva (ma difficile, al momento) introduzione. Ma una stima è comunque possibile: se fosse introdotto il salario minimo di 9 euro l’ora, in Bergamasca ne beneficerebbero circa 40mila lavoratori. Secondo un’elaborazione Istat, infatti, in Lombardia poco meno del 10% dei lavoratori del settore privato ha una retribuzione oraria inferiore a quella soglia, e dunque ne trarrebbe un incremento: e considerando che in Bergamasca gli occupati sono 488.700, di cui 45.370 nel pubblico e 443.300 nel privato, ecco che si arriva a tratteggiare la platea di 40mila possibili beneficiari (poco meno del 10% degli addetti del privato). La strada per il salario minimo – proposta sostenuta principalmente dalle forze politiche di opposizione, mentre il governo è ben più freddo – è tuttavia parecchio in salita. Anche perché non mancano i pareri discordanti, pure in Bergamasca.

I sindacati

Favorevole, ma con un preciso paletto, è la Cgil. «La proposta di un’asticella minima sotto cui non andare è interessante – premette Marco Toscano, segretario generale della Cgil Bergamo -. Detto questo, il ragionamento sul salario minimo deve coniugarsi col sostegno alla contrattazione: le due normative devono accompagnarsi, come Cgil da tempo rivendichiamo una legge sulla rappresentanza». Perché se il salario minimo fissa un perimetro economico, «la contrattazione è sempre stata uno strumento fondamentale per tutti gli altri istituti a tutela del lavoratore – ricorda Toscano -. Una legge sulla rappresentanza che qualifichi chi sottoscrive i contratti nazionali permette di contrastare la proliferazione dei contratti “pirata”, esplosi soprattutto negli ultimi dieci anni». Ma cosa sono i contratti pirata? In sintesi, sono quei contratti nazionali non sottoscritti da Cgil, Cisl e Uil, né – sull’altro versante – dalle principali organizzazioni delle imprese, ma firmati da sigle sindacali e datoriali minoritarie, con condizioni decisamente peggiori rispetto contratti collettivi «tradizionali». Al Cnel (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro) risultano infatti depositati oltre 1.000 accordi collettivi nazionali, di cui 940 del settore privato, e circa 300 di questi sono «attivi»; Cgil, Cisl e Uil ne hanno firmati 170 di questi, la restante parte afferisce a sigle secondarie.

Francesco Corna, segretario generale della Cisl, parte da un presupposto: «È necessario prima di tutto che i salari e le pensioni recuperino il potere d’acquisto eroso dall’inflazione». Detto questo, «il salario minimo è una scorciatoia che può avere effetti indesiderati – riflette Corna -. Nel nostro Paese il 90% dei lavoratori è coperto da contratti nazionali più forti. Se per legge si fissasse solamente l’importo di 9 euro l’ora, questo potrebbe indurre le imprese a fissare solo quel dato economico senza considerare tutti gli altri benefit dei contratti nazionali: si perderebbero i diritti conquistati con anni di lotte». Anche per Corna «occorre contrastare i contratti pirata, dare tutele a quei lavoratori che non ne hanno, evitare le scappatoie, eliminare i contratti firmati da chi non rappresenta realmente i lavoratori: questo è dare più diritti, senza farne bandiere ideologiche, ma guardando alla sostanza».

Le imprese

«Come ha ribadito il presidente di Confindustria Carlo Bonomi, non ci sono pregiudiziali ad affrontare il tema – commenta Paolo Piantoni, direttore generale di Confindustria Bergamo -, ma è importante precisare che i nostri contratti prevedono trattamenti superiori alla soglia di 9 euro. Più in generale la questione del lavoro poco retribuito, aggravata dalle ultime spinte inflazionistiche, è alimentata in alcuni settori o aree da condizioni come il part-time simulato, l’utilizzo non corretto dei tirocini extra-curriculari, il lavoro nero o comunque non correttamente retribuito. Fenomeni che da sempre l’associazione contrasta».

L’eventuale introduzione di un salario minimo potrebbe riflettersi in particolare sulle piccole e medie imprese, quelle più capillarmente diffuse nel tessuto economico. Nel terziario, ad esempio, non mancano le perplessità da parte delle associazioni datoriali: «Il salario minimo è un’esigenza nei Paesi europei dove non c’è una copertura da contratti collettivi, qui in Italia la copertura è del 90% – spiega Oscar Fusini, direttore di Ascom-Confcommercio Bergamo -. I contratti nazionali di commercio e servizi, pubblici esercizi e alberghi hanno valori orari già superiori ai 9 euro: i problemi ci sono invece dove si applicano contratti pirata». Su questo c’è assonanza tra sindacati e datori. «La nostra posizione, anche a livello nazionale, è di contrarietà al salario minimo – spiega Filippo Caselli, direttore di Confesercenti Bergamo -. Crediamo invece nella contrattazione collettiva, di cui siamo protagonisti: nel salario minimo intravediamo invece il rischio di depotenziare la relazione sindacale. Vedo alcune criticità: per esempio, cosa succederebbe se il salario minimo fissato per legge fosse inferiore ai valori dei contratti nazionali? Ci sarebbe il rischio di una disapplicazione dei contratti». Anche per Caselli, «il problema che osserviamo è quello dei contratti pirata, che fanno perno su organizzazioni con scarsissima rappresentatività, con danni per lavoratori e aziende concorrenti. Vanno sfoltiti: serve una più incisiva vigilanza sul fenomeno, perché si generano squilibri».

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