L’urgenza non c’è per un anziano su 10 al Pronto soccorso

I NUMERI. Over 75, il 9,53% degli accessi inappropriati. Manelli: «Perché non conosce o non c’è un’alternativa». Messina: «Famiglie e caregiver disorientati sui servizi».

Di primo acchito, il dato può sembrare alto: uno su dieci, all’incirca. In realtà è tra i più bassi della Lombardia, ma rimette al centro un tema cruciale: l’accessibilità dei servizi sanitari, legata a doppio filo col tema dell’invecchiamento della popolazione e la difficoltà, per le famiglie, di assistere gli anziani a casa.

Il 9,53%

Nel 2024, in Bergamasca il 9,53% degli accessi in Pronto soccorso da parte di persone con almeno 75 anni d’età è stato ritenuto «inappropriato». Non c’erano cioè i requisiti di emergenza o di urgenza che dovrebbero contraddistinguere tali situazioni, e dunque quelle persone avrebbero dovuto rivolgersi invece ad altri canali: il medico di base, la Continuità assistenziale (l’ex guardia medica), una visita specialistica. A tratteggiare i dati è l’Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, branca del ministero della Salute, che ha messo a confronto i diversi angoli del Paese. Il risultato orobico è appunto tra i «meno peggio»: in Lombardia solo Pavia ha un tasso di inappropriatezza più contenuto (all’8,23%), mentre nell’area dell’Ats Insubria (che comprende le province di Varese e Como) si tocca il 14,64%; a livello italiano gli estremi vanno dal 3,60% dell’Ausl (l’azienda sanitaria locale) di Parma al 25,26% del territorio afferente all’Aulss Dolomiti (l’azienda sanitaria locale di Belluno). Per quanto riguarda la terra orobica, la tendenza sarebbe di discreto miglioramento: nel 2022, il primo anno in cui l’Agenas ha iniziato a diffondere il monitoraggio, in Bergamasca era ritenuto inappropriato il 14,86% degli arrivi in Ps da parte di over 75.

«Rafforzare il territorio»

Sono numeri «da valutare con cautela», premette Filippo Manelli, presidente della Simeu Lombardia, la società scientifica che riunisce gli operatori della medicina di emergenza-urgenza, oltre che direttore dei Pronto soccorso dell’Asst Bergamo Est: «Come Bergamo – ragiona Manelli, anche alla luce di quanto emerge dal coordinamento periodico tra colleghi – il responso dell’Agenas potrebbe dare una qualche soddisfazione perché risulta ai minimi in Lombardia. Dall’altro lato, in aree dove si registra appena il 3,5% di accessi inappropriati potrebbe esserci paradossalmente un punto critico: l’incidenza è bassa perché c’è in primis una difficoltà a rivolgersi ai servizi sanitari». Cioè potrebbero essere così difficili da raggiungere che un paziente vi rinuncia. C’è una domanda di fondo a guidare la riflessione. «Perché una persona arriva in Pronto soccorso pur non avendone bisogno? Perché non conosce o non ha un’alternativa migliore – prosegue Manelli –. Questo chiama in causa la necessità di rafforzare la medicina di territorio in tutte le sue sfaccettature, un percorso che è stato intensificato negli ultimi anni e che richiede ulteriori sforzi. C’è però anche un aspetto legato al governo della “domanda di salute”. In generale, talvolta ci si trova di fronte a un eccesso di prescrizioni e di esami che generano delle aspettative legittime ma non sempre appropriate».

Di fronte alle lungaggini delle liste d’attesa e all’impossibilità di sostenere una spesa in privato, l’ultimo appiglio diventa quello di recarsi direttamente in Pronto soccorso

È l’effetto di tante cause, dalla «medicina difensiva» – comminare un ampio spettro di esami per cautelarsi contro possibili cause legali da parte dell’assistito – alle richieste dei pazienti stessi, con ricadute anche sull’ingolfamento del sistema. Perché, ad esempio, una casistica diffusa è questa: di fronte alle lungaggini delle liste d’attesa e all’impossibilità di sostenere una spesa in privato, l’ultimo appiglio diventa quello di recarsi direttamente in Pronto soccorso. Anche con qualche rischio, «perché il pericolo di infezioni ospedaliere, pur contenuto – specifica Manelli –, è più elevato proprio tra gli anziani».

Invecchiamento e cronicità

Guido Marinoni, presidente dell’Ordine dei medici di Bergamo, usa una metafora pragmatica: «Siamo al gatto che si morde la coda. Se un anziano ha un problema di accesso alle strutture, se al Cup trova un “muro”, allora dove va? Dove trova una porta aperta: in alcuni casi quella del medico di base, in altri il Pronto soccorso. Una quota di accessi inappropriati è ineliminabile». D’altronde, «recarsi al Pronto soccorso è sempre una volontà della singola persona e non è controllabile dal medico – evidenzia Marco Agazzi, presidente dello Snami Bergamo, sindacato dei medici di famiglia –. Il dato bergamasco è comunque basso, vuol dire che una certa cultura sanitaria improntata alla responsabilità c’è. La vera criticità è nelle liste d’attesa, ormai una piaga». Per Ivan Carrara, segretario della Fimmg Bergamo, sindacato dei medici di medicina generale, «il problema può riguardare in particolare i pazienti “orfani”, cioè quelli senza un medico di base: è vero che hanno la possibilità di accedere alla Continuità assistenziale o agli Ambulatori medici temporanei (gli Amt, ndr), ma non è la stessa cosa di avere un riferimento di fiducia».

«Servono risorse adeguate»

Se si parla di over 75, inevitabilmente si torna sulla questione dell’invecchiamento e delle patologie correlate. Dove si può lavorare, allora, per cercare di ridurre ulteriormente questi accessi «evitabili» in Ps? «Sulle patologie croniche – risponde Marinoni –. Questo è il campo della medicina di famiglia e dell’attività specialistica ambulatoriale, ma bisogna avere delle risorse umane adeguate. Regione Lombardia in passato aveva avviato un progetto sulla cronicità probabilmente tra i migliori in Europa, con la presa in carico continuativa di 300mila pazienti: un grande risultato, sì, ma il problema è che i cronici sono dieci volte tanti».

Sullo sfondo c’è anche l’«accompagnamento» ai servizi, il disorientamento che vivono anziani, familiari e caregiver nell’accesso alla sanità: «Questo è un bisogno fondamentale – rileva Marcella Messina, assessore alle Politiche sociali del Comune di Bergamo –. In questa direzione si muove il lavoro fatto da custodi sociali, operatori di comunità e Centri per tutte le età, per orientare ai servizi e individuare la risposta più adatta. Nell’aspetto sociosanitario diventa fondamentale la collaborazione con gli infermieri di famiglia e di comunità, per comprendere al meglio le necessità dell’anziano».

© RIPRODUZIONE RISERVATA