Mario, il barista che ha sconfitto il virus:
«Ora posso dire che la vita è bella»

Mario Grazzini, 52 anni, di Mozzo, storico barista a Oriocenter, si è ammalato nei giorni più bui della pandemia a Bergamo. «Ho chiuso gli occhi e mi sono svegliato in ospedale a Bonn, in Germania. Sono tornato in Italia dopo un mese ai primi di maggio 2020, sulle mie gambe. Ho visto e vissuto tanta sofferenza, sono una persona nuova».

«Ho rischiato di morire, ma non ho mai avuto paura della morte. Oggi sono una persona nuova, diversa e a chi mi chiede cosa mi ha dato la forza per rinascere, io dico: la fiducia nella vita e l’amore di mia moglie». Di tempo per ragionare in maniera sufficientemente distaccata e lucida sulla malattia che un anno fa ha rischiato di strapparlo all’affetto dei suoi cari, ne ha avuto abbastanza Mario Grazzini, 52 anni di Mozzo, conosciuto soprattutto dai clienti di Oriocenter, dove da 18 anni lavora come barista. In casa di Mario, il Covid ha colpito prima Alessia, sua moglie: qualche giorno di febbre neppure troppo alta, un po’ di dolori e via, come una semplice influenza. Poi ha attaccato lui: dopo 15 giorni di malattia, invece di migliorare Mario è peggiorato all’improvviso: erano i giorni più terribili e il 22 marzo 2020 è stato portato d’urgenza al «Papa Giovanni XXIII». Dopo una settimana in terapia intensiva, lo hanno imbarcato su un cargo militare e trasportato in un ospedale di Bonn, in Germania, com’è successo anche ad altri bergamaschi. Lì si è risvegliato solo l’8 aprile, dopo più di due settimane di coma farmacologico.

È rientrato a casa quasi un mese dopo direttamente dalla Germania, sulle sue gambe, e qualche settimana più tardi è tornato al lavoro, guarito e senza postumi, per la gioia sua, dei suoi familiari e dei suoi tanti clienti. «Da loro – dice Mario – ho ricevuto tante dimostrazioni d’affetto, che mai mi sarei aspettato». Oggi Mario Grazzini ricorda sua vicenda legata al Covid proprio dietro al «suo» bancone, mentre qualche cliente lo saluta ancora, ricordandogli quanto è stato fortunato ad uscirne così in fretta.

Perché quella di Mario è davvero una storia a lieto fine, anche se ha lasciato nella mente del suo protagonista immagini e ricordi indelebili. «Sono arrivato in ospedale con un livello di saturazione dell’ossigeno a 60 – racconta –. Ricordo che c’era gente ovunque: io ero seduto su una carrozzella ed ero circondato da scene di terrore e di sofferenza. Così ho chiuso gli occhi e li ho riaperti solo dopo due settimane». In mezzo, il buio del coma. «Quando mi sono risvegliato – prosegue Mario – e ho sentito che tutti parlavano in tedesco, lì per lì mi sono chiesto: ci hanno invaso un’altra volta? Poi un infermiere italiano è venuto a farmi visita e mi ha spiegato tutto». Il ricordo delle settimane passate in un ospedale straniero, lontano da casa, in fondo è dolce, «nonostante una tracheotomia e gli aghi infilati ovunque – dice ancora Mario –. In Germania sono stato curato benissimo; ero ricoverato in una camera singola, i medici e gli infermieri venivano a trovarmi spesso, mia moglie chiamava ogni giorno per informarsi sulle mie condizioni di salute e io non ho mai mollato. Quando mi sono reso conto della mia situazione, la prima cosa che mi sono detto è stata: ok, adesso devo recuperare, e prima ci riesco, meglio è per tutti. In situazioni come quelle, pensi soltanto a come rimetterti in piedi il più presto possibile. Prima di dimettermi, i medici mi hanno proposto un percorso di riabilitazione, ma mia moglie è fisioterapista e mi sono affidato a lei».

A Bergamo, Mario è sbarcato di nuovo il 4 maggio 2020: «Ho subito partecipato al programma di follow up del Papa Giovanni – dice – e tornando in ospedale ho visto tante persone, persino trentenni e quarantenni, nelle quali il Covid ha lasciato strascichi importanti, a livello sia fisico che psicologico. Alcuni di loro hanno addosso ancora il terrore legato a un momento di guerra». Invece Mario no: nonostante la gravità della sua malattia, non ha avuto alcuna conseguenza, «tanto che persino i medici si sono stupiti – ammette –, sia in Italia che in Germania. A un anno di distanza, sono consapevole del fatto che mi è stata regalata una seconda possibilità e mi sono reso conto di avere avuto una fortuna enorme. Ho rivalutato le priorità della vita e nonostante ogni giorno io e mia moglie pensiamo ancora alle persone che hanno perso i loro familiari, io dico che, qualsiasi cosa accada, bisogna continuare ad avere fiducia nella vita».

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