Pensava e ripensava le pagine con il dubbio critico che dimora nelle coscienze migliori

IL RICORDO. Tutto ciò che è francese rappresentava, se così si può dire, il luogo dell’anima intellettuale di Marco, il perimetro degli affetti e il crocevia di una sensibilità accattivante.

L’origine di questa sua francofilia era il segreto che custodiva con maggior gelosia, lui che peraltro non amava raccontarsi. Ma se gli facevi notare la spiegazione di questa complicità psicologica con il fascino del profumo ambientale di una raffinata eleganza dei cugini d’Oltralpe, ti rispondeva, aggiustandosi la giacca di buon taglio appena acquistata: «Bien sûr».

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Quando discettava con gli amici, parlava francese: un modo per sentirsi a destinazione, nel suo «buen retiro» di Mentone, il rifugio che si concedeva in terra amica, senza confini di sorta. Era a suo agio e contento in quello che viveva come un gesto liberatorio dalla routine quotidiana. Capitava che alla sera, per smaltire la tensione, telefonasse agli amici parigini. Coltivava due miti, che hanno guidato con mano sicura le sue escursioni culturali: Albert Camus e Jean Daniel. Del primo sapeva tutto e Marco, così docile e disciplinato, si riconosceva nei tratti anticonformistici e irregolari dell’autore de «L’uomo in rivolta». Nutriva il vezzo di spiazzare l’interlocutore: quando lo pensavi da una parte, eccolo dall’altro lato. Del secondo, Jean Daniel, ammirava l’estetica e la sostanza del giornalista e dell’intellettuale, la sua prosa così distinta. Conosceva da tempo quel gigante del giornalismo, e lo aveva intervistato più volte negli anni scorsi.

Una frequentazione nata dall’essere stato per un paio di mesi ospite della redazione del settimanale «Le Nouvel Observateur», di cui Jean Daniel era la mente storica. Marco, quel soggiorno professionale, lo considerava una conquista personale del suo sapere. Una medaglia al valore, quale in effetti era. Il suo «essere francese» era qualcosa di intrigante, che ha sempre incuriosito chi gli stava vicino. In realtà era il senso compiuto di un umanista prestato al giornalismo, mondi che poi si tengono reciprocamente. Ai piani alti del giornale era arrivato dalla gavetta. Ha esordito seguendo il sindacato e la politica, specie quella amministrativa, materie che trattava con garbo e sostenuto da una solida cultura cattolica e sociale. Esplorava il contorno, indagava il girotondo di costume, descriveva l’ambientazione dei sentimenti. «Prima di raccontare la politica, la voglio annusare», e nel dirlo giocava con le mani attorno al naso e alla bocca.

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Ma è nella Cultura, nella guida di un settore delicato e di primo livello, che s’è riconosciuto in modo totale. Il suo essere, la sua vita, il caposaldo di una dedizione che ha assorbito tutte le energie e il carico mentale di Marco. Laboratorio sperimentale e avanguardia concettuale, il «salotto buono». «L’agorà», confidava con un certo orgoglio, consapevole di giocare in casa.

Voleva volare alto, come testimonia l’inserto domenicale della Cultura che curava e che, sul piano emotivo, era la sua ragione più intima. Da qui l’ambivalenza di Marco: la soddisfazione per un risultato di qualità e, insieme, quel suo sentirsi inappagato, perché lo voleva sempre migliore. Ma doveva riconoscere che la perfezione è irraggiungibile e non è data in natura: ecco il cruccio di un uomo, che non tralasciava la cura dei dettagli nell’armonia dell’insieme. L’inserto culturale lo aveva preso, quasi dominato: la partita del cuore, purtroppo l’ultima. S’era lasciato felicemente catturare da una sinfonia di successo: un domicilio dorato in un percorso esistenziale votato alla conoscenza e ai tormenti dell’uomo.

Pensava e montava quelle pagine, per poi ripensarle e smontarle, percorso da quel dubbio critico che dimora nelle coscienze migliori. Questo è il Marco che abbiamo conosciuto e stimato. Un uomo buono e gentile, un giornalista di grande classe, sempre alla ricerca dell’umano.

La camera ardente resterà aperta anche lunedì 1° gennaio, dalle 9 alle 18. I funerali saranno celebrati martedì 2 gennaio alle 14.30 al Tempio Votivo, chiesa parrocchiale di Santa Lucia.

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