Pubblico impiego, la corsa alla pensione. Cisl: «Un esodo, ora serve una riforma»

Il fenomeno Gli assegni erogati sono 34.430, quasi 3mila in più del 2018. «Effetto incentivi ed età elevata». Nella Bergamasca il 47% degli impiegati ha tra i 51 e i 60 anni. E la spesa annua è aumentata di 118 milioni di euro.

Se non è una fuga dal pubblico impiego, poco ci manca. Anche nella Bergamasca sono in crescita i numeri dei dipendenti pubblici che hanno deciso di lasciare il lavoro per aver raggiunto i requisiti minimi per la pensione, beneficiando anche dell’incremento della spesa per gli assegni mensili erogati ai lavoratori provenienti dal pubblico impiego. Un’analisi dell’Osservatorio Cisl Fnp (pensionati) di Bergamo e provincia, condotta sulla base di dati Inps, certifica infatti che dal 2021 a oggi il numero di pensioni «vigenti» erogate in favore di residenti nella provincia di Bergamo ha toccato quota 34.430, ben 878 in più rispetto al 2021, quando erano 33.552, e oltre mille in più (per la precisione 1.240) se si considera il dato del 2020, quando di pensioni a dipendenti pubblici ne risultavano 33.190 (fonte osservatorio Inps). Se si osserva il dato del 2018, quando le pensioni erogate ad ex dipendenti pubblici erano 31.510, la crescita è di 2.920 pensionati in più in quattro anni.

Aumenta la spesa

Capitolo spesa: considerati sempre gli ultimi quattro anni, l’assegno medio versato per ogni pensionato proveniente dal pubblico impiego – osserva la Cisl – è lievitato da 1.952 a 2.223 euro, con picchi di aumento che sfiorano i 400 euro per chi oggi va in pensione con un’età compresa tra i 65 e i 69 anni. Quindi quasi un esodo dal settore pubblico verso l’agognata pensione e una crescita esponenziale della spesa previdenziale, fenomeni favoriti anche dall’invecchiamento del personale in servizio, senza un adeguato ricambio, e dalle finestre di opportunità di uscita dal mondo del lavoro garantite da «Quota 100» e da «Opzione donna».

«Il blocco del turnover degli ultimi anni, la spinta di «Quota 100» o «Opzione donna» hanno dato il via libera in sostanza a un vero e proprio esodo dagli uffici pubblici»

«Era logico aspettarsi una simile ondata di uscite – spiega Roberto Corona, segretario della Fnp Cisl di Bergamo e provincia –. Nel pubblico impiego a Bergamo la fascia d’età tra i 51 e i 60 anni rappresenta il 47% del personale in servizio. Il blocco del turnover degli ultimi anni, la spinta di «Quota 100» (operativa dal 2019 al 2021, consentendo l’uscita anticipata dal mondo del lavoro per chi vantava almeno 38 anni di contributi e un’età anagrafica minimo di 62 anni, ndr) o «Opzione donna» (35 anni di contributi e 58 anni di età per le lavoratrici dipendenti, ndr) hanno dato il via libera in sostanza a un vero e proprio esodo dagli uffici pubblici». Secondo i dati Inps, a livello nazionale la spesa pensionistica per gli ex dipendenti pubblici supera i 79 miliardi di euro. Nel 2018 il totale provinciale della spesa pensionistica dei dipendenti pubblici ammontava a 676 milioni e 65.637 euro e si stima che a fine 2022 sarà di 794 milioni e 329.016 euro, cioè solo nella Bergamasca un aumento di spesa pari a 118 milioni e 263.379 euro in cinque anni. Le pensioni ai superstiti rappresentano circa il 10% del totale della spesa, quelle di inabilità il 5%. Quanto alla distribuzione per genere e categoria, si riscontrano elementi in comune con le pensioni vigenti nei vari settori, con una prevalenza del genere femminile in tutte le categorie, ad eccezione delle inabilità.

Il 60% sono donne

In generale, per motivi di longevità, il 59,5% del totale dei trattamenti pensionistici è erogato a donne, il 40,5% a uomini. Tra i fattori che hanno inciso sull’aumento della spesa pensionistica figurano appunto le uscite anticipate e il dato bergamasco lo certifica: il 78% degli assegni per i dipendenti pubblici pagati in provincia, in base alle stime dell’Osservatorio Fnp Cisl, sono di anzianità o anticipati, con un importo complessivo annuo pari a 677 milioni e 381.510 euro. «È ora di realizzare una riforma del sistema previdenziale che dia alle pensioni maggiore consistenza, sostenibilità sociale e inclusività, soprattutto per i giovani e le donne – sottolinea Corona -. La proposta dei sindacati rimane sempre la stessa: un’uscita con 41 anni di contributi o a 62 anni di età (il sistema attuale prevede l’uscita a 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne, 42 anni e 10 mesi per gli uomini; pensione di vecchiaia a 67 anni e 20 di contributi oppure quota 102, con 64 anni di età e 38 di contributi)».

«Il dato medio delle pensioni è penalizzante soprattutto per le donne, che devono già fronteggiare assenze dovute a maternità o cure dei familiari. Le donne sono penalizzate con il sistema contributivo, pur lavorando di più»

«Da 27 anni vige il sistema contributivo, per cui più si andrà avanti e più le pensioni saranno soggette, a parità di contributi, a minore retribuzione economica rispetto agli anni precedenti. Il dato medio delle pensioni – aggiunge Corona – è penalizzante soprattutto per le donne, che devono già fronteggiare assenze dovute a maternità o cure dei familiari. Le donne sono penalizzate con il sistema contributivo, pur lavorando di più. Sarebbe opportuno rivedere il sistema, ma “Opzione donna” penalizza parecchio, con un 30% in meno sulla pensione. Dai dati Inps non si possono ricavare ancora dati provinciali specifici sui settori maggiormente interessati dall’esodo pensionistico, ma la sanità è di certo un fronte caldo in cui si sono registrate tante uscite».

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