«Dopo Raffaella Carrà un’opera su Mina»

L’ANTEPRIMA. Al Teatro Donizetti l’incontro sulla Carrà con critici e autori tv e poi la prova del 2° atto di «In the Sky». Da Micheli l’idea di nuovi progetti operistici con al centro la cantante di Cremona o donne come Maria Montessori.

Tra televisione e opera lirica. Lunedì pomeriggio, al Teatro Donizetti Raffaella Carrà è stata uno spartiacque tra i due campi, al centro prima di un ampio incontro di studio dedicato alla soubrette bolognese, concluso poi con la prova del II atto dell’opera «Raffa in the Sky» (venerdì il debutto) di Lamberto Curtoni, a lei dedicata dalla Fondazione Teatro Donizetti in occasione di Bergamo e Brescia Capitale della cultura.

Fabio Vittorini, docente di letteratura, media e musica e immagine all’università Iulm di Milano, è stato esplicito: Raffaella Carrà ha inventato il «corpo queer», un corpo che non esiste nella realtà. La canzone indirizzata a Luca - che è pure citata nello spettacolo al Teatro Donizetti - è dedicata a un omosessuale, una canzone di cui forse la Carrà stessa si era innamorata.

Il celebre «Come è bello far l’amore da Trieste in giù» è un altro slogan di questa stessa ideologia. La donna si sceglie il partner, prende quelli che preferisce. La Carrà insomma è stata apripista nello sceglier «nuovi corpi», come quelli di ballerini uomini con tute dalla testa a piedi di solito riservate alle donne. Le sue coreografie ci portavano in altri mondi, nuovi mondi di cui la Carrà - è la tesi dello spettacolo - è stata la prima sperimentatrice.

Tra i relatori anche il sindaco Giorgio Gori, che ha svelato come più volte avesse corteggiato la soubrette, andando di persona a casa sua, per portarla sulle reti Fininvest, senza esito.

All’incontro hanno offerto spunti di esperienza diretta sulla Carrà Aldo Grasso, noto critico televisivo, soprattutto Salvo Guercio e Giovanni Benincasa, autori tv di fiducia della protagonista, oltre a Massimo Scaglioni dell’Università di Bergamo. 

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Sul dualismo tra tv e opera lirica si sono soffermati Alberto Mattioli, co-librettista della nuova opera e il regista Francesco Micheli, che ha definito «un sogno» vedere un soggetto come questo approdare sul più nobile palcoscenico della città, nel Teatro Donizetti. E ha in qualche modo lanciato l’idea che anche altri personaggi del nostro tempo, come Maria Montessori o Mina possano essere al centro di prossimi progetti operistici come questo. «Abbiamo bisogno - ha detto Micheli, ma non bisogna necessariamente essere d’accordo con lui - di nuovi miti: uomini, donne, bambini e trans».

Tra tv e opera lirica, diceva Mattioli, il rapporto «è fin dall’inizio difficile perché il piccolo schermo è figlio del nemico», il cinema: l’opera è stata scalzata da questo e la tv è la figlia del grande schermo. Tra le due forme di intrattenimento c’è un rapporto ambivalente. «La contemporaneità è letta come minaccia e non come opportunità».

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Un assaggio delle prove

La parola è poi passata alla scena, con un assaggio di prova in teatro. Il dualismo tra tv e opera compare a più riprese: la scena racconta in parallelo la vita quotidiana di una famiglia italiana (ci sono Carmela e Vito) e il corredo di lustrini, a volte con un fascino marziano, in cui si muove la protagonista.

La musica di Curtoni non è praticamente mai aggressiva, se mai leggera, con motivi semplici, netti, affidati ora ai legni ora agli ottoni. Non è difficile cogliere reminiscenze (a volte esplicite) alla musica di Nino Rota e delle sue magistrali colonne sonore.

Ogni tanto alcuni temi di canzoni («A far l’amore comincia tu», per esempio) affiorano da lontano e fungono da leitmotiv in versione pop, aggiornata. La narrazione fa ricorso spesso a una serie di cartonati, che fanno da sfondo ai personaggi coinvolti: ad esempio uno grigio con lo sfondo di città moderne, tra elettrodomestici, tv e fabbriche. Oppure modesti interni di un appartamento famigliare. È un modo per connotare come un misto di fantasia e di realtà la narrazione: allo stesso modo la famigerata maestra di danza russa della Carrà, che bacchetta, è tutta nera, coperta da un faccione di cartone.

Un punto forte dello spettacolo è la trasgressione del «Tuca tuca», danza che svela l’ombelico: «La televisione non è liberazione, per questo ti dico copri l’ombelico» viene intimato alla soubrette. È uno dei momenti di maggior tensione e dà idea della leggerezza complessiva che sembra segnare l’inedita produzione.

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