Il cadavere al ristorante, giallo nella cucina stellata

LETTO PER VOI. Una «contaminazione» fra statuti del giallo - delitto, indagini, misteri, suspense - e statuti, «cultura», moda, milieu dell’haute cuisine. Questo è, soprattutto, sin dal titolo, l’ultimo libro di Giancarlo De Cataldo: «Un cadavere in cucina» (Einaudi, pagine 227, euro 18).

Il «Controcorrente», non a caso ribattezzato «Conto corrente» - regno dello chef Cesare Marini, giudice, naturalmente duro e inflessibile, del talent «I Re Mangi» - è un ristorante pluristellato di Roma, frequentato da vip, e potenti, di quelli in cui devi farti raccomandare, magari pagando, per trovare posto prenotando con mesi di anticipo. Proprio qui, inspiegabilmente, si verifica un caso di avvelenamento da funghi allucinogeni. Tutti i clienti intossicati dalla Psilocybe semilanceata, dopo poco, si rimettono perfettamente. Uno di loro però, il colonnello Micheli, distaccato allo Stato Maggiore della Difesa, due giorni dopo muore: fegato «liquefatto» da ingestione di Amanita falloide. In più, le prime indagini, condotte dal pm Spinori e dall’ispettora Cianchetti, antipodi della scala sociale (lui detto «il contino», lei coatta di Borgo Ottavia), rinvengono una microspia proprio sotto il tavolo del Micheli.

Le domande si moltiplicano: come è possibile che in un ristorante dove gli ingredienti «speciali» vengono tenuti in dispense a combinazione (tipo casseforti), i cibi preparati in laboratori avveniristici, i piatti assaggiati da addetti iperspecializzati, ecc. ecc., ai preziosi porcini neri si siano mescolati i funghi psichedelici degli hippy e un fungo assassino? Punti forti, caratterizzanti del libro sono: la restituzione concreta, dal di dentro, ricca di particolari, di un’indagine condotta da un pm, che fa fruttare l’esperienza personale, vissuta, dell’ex magistrato De Cataldo.

Il dar voce alle molte perplessità, alle molte reazioni ambigue e contraddittorie che possono sorgere di fronte all’imperversare di attività ex artigianali, ora rapidamente assurte a mode popolarissime, nuove retoriche, fenomeni di costume imperanti, come l’alta cucina (e, analogamente, l’haute couture). Attività che ora pretendono per sé dignità pari alla grande letteratura, pittura, musica. Al di là dei tentennamenti fra rifiuto sdegnoso (o snobistico) e apertura possibilista, resta il dubbio, etico, se sia opportuno dare tanto spazio e importanza al «tristo sacco» (lo stomaco) di dantesca memoria.

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