Le ferite dei bambini nella Sarajevo del 1992

Il libro. Bombe su un orfanotrofio. Ma non siamo a Kherson, Kharkiv, Chernihiv, Vorzel, in una delle tante città o villaggi ucraini dove la criminale aggressione russa, vilmente scatenatasi sui civili, non ha risparmiato neanche la triste dimora dei bambini più soli.

Leggendo «Mi limitavo ad amare te», ultimo libro di Rosella Postorino (Feltrinelli, pp. 350, euro 19), ci si rende conto che la guerra in corso non ha fatto che riattualizzare orrori già accaduti chissà quante volte, in chissà quante parti del mondo. Il nuovo romanzo della fortunata autrice del premiatissimo «Le assaggiatrici» (ivi, 2018), riporta l’attenzione sulla Sarajevo del 1992, assediata dai serbi. Al caso, spinoso, intricato, difficile, dei bambini dell’orfanotrofio di Bjelave che vennero portati in Italia. Come vivevano i minori ospitati in quell’orfanotrofio, sotto le bombe, in una città in cui mancavano elettricità ed acqua, ci si procurava il cibo nei negozi e supermercati abbandonati?

La Postorino prova a ricostruire quelle vite, quelle giornate, quelle strategie di sopravvivenza, anche o soprattutto psicologica. Vite di minori privi di guide adulte, dell’amore e della cura dei genitori. Maggio ‘92. Omar, dieci anni, viene separato dalla madre dallo scoppio improvviso di una granata. Quando riapre gli occhi, invece di lei, vede un uomo: berretto militare, uniforme di un soldato che lo sta soccorrendo. Omar è tutto intero, non ci sono, all’apparenza, ferite o pezzi mancanti. Ma, dentro, manca la cosa più importante. Nei confronti della madre Omar nutriva una naturalissima dipendenza, da cagnolino con il padrone.

E ora? La domanda «dov’è la mamma?»; «Perché ha abbandonato me e mio fratello?»; «Se n’è andata perché non ci vuole?» si insinua, cronica e involontaria, nel vuoto dell’assenza. Paradossalmente, in quella latitanza di adulti «tuoi», le bambine dell’orfanotrofio giocano a mamma con i più piccoli. E proprio in una bambina, Nada, sensibile e affettuosa, Omar ritrova qualcosa di simile a un riferimento, una bussola, un amore. La desolata città dei bambini ricostruita dalla Postorino, riprende, tra romanzo e realtà, la vicenda dei 67 bambini partiti da Sarajevo nel luglio 1992 per trovare rifugio in Italia. Di questi, 46 stavano, come Omar, all’orfanotrofio «Ljubica Ivezić». Bambini che non hanno più rivisto i genitori. Non tutti erano orfani, e, nonostante questo, non sono stati rimpatriati.

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