In viaggio nella magia della Sicilia per aprire una finestra sul mondo

LA SFIDA. Cinque ragazzi autistici del Centro diurno per disabili «Koinonia» della Fondazione Angelo Custode e la loro esperienza tra ricerca di autonomia e bellezza.

«Non puoi porre limiti a nulla - dice Michael Phelps, campione di nuoto statunitense -. Più sogni, più lontano vai». Hanno lanciato il cuore oltre gli ostacoli, affrontando nuove sfide, anche le tre educatrici del Centro diurno per disabili (Cdd) «Koinonia» della Fondazione Angelo Custode che alla fine dell’estate hanno accompagnato cinque ragazzi autistici in un’inedita vacanza in Sicilia, attraversando l’isola, tra l’Etna e il mare, approfittando di un’opportunità di autonomia e di bellezza, che supera i pregiudizi e apre nuovi orizzonti. Sebastian, Maddalena, Roberto, Simone e Daniel sono partiti con tre educatrici che li accompagnano nelle loro giornate al Cdd: Miriana Sindone, Giada Perico e Valentina Brevi. Hanno trascorso insieme alcuni giorni intensissimi per condividere un’esperienza comune a molti coetanei, ma davvero insolita per loro: un viaggio lontano dalle famiglie, vissuto in autonomia, dentro la meraviglia e la fatica della quotidianità.

L’idea è nata dal desiderio di offrire ai ragazzi la possibilità di misurarsi con la libertà, di sentire che la vita può accoglierli e sorprenderli

«Un’avventura impegnativa - come osserva Claudia Costaioli, referente educativo del Centro Koinonia -, perché alcuni di loro non si esprimono verbalmente e tutti hanno bisogno di certezze, riferimenti sicuri. A volte hanno reazioni imprevedibili in situazioni nuove e le loro educatrici, con cui hanno creato solidi rapporti di fiducia, sono preparate ad affrontarli».

L’idea è nata dal desiderio di offrire ai ragazzi la possibilità di misurarsi con la libertà, di sentire che la vita può accoglierli e sorprenderli. «Volevamo che sperimentassero un viaggio vero, con le incognite e le scoperte che comporta — ha spiegato Miriana —. Non un’attività protetta, ma un’esperienza di fiducia reciproca».

«I programmi - continua Giada - sono studiati su misura per i nostri ragazzi, e accompagnati da un cammino di avvicinamento graduale, in modo da renderli il più possibile accessibili e piacevoli per tutti, e prevedere possibili inconvenienti».

Un percorso a tappe che prosegue nel tempo, offrendo ogni volta nuovi stimoli: «L’anno scorso siamo andati a Parigi - ricorda Giada - e ancora prima abbiamo trascorso con loro weekend in montagna, soggiorni in bed-and-breakfast, trasferte per raccogliere agrumi nei frutteti e olive a Macerata». Un percorso a tappe, proseguito nonostante il grande impegno di preparazione che ogni viaggio comporta.

«I programmi - continua Giada - sono studiati su misura per i nostri ragazzi, e accompagnati da un cammino di avvicinamento graduale, in modo da renderli il più possibile accessibili e piacevoli per tutti, e prevedere possibili inconvenienti».

La piccola spedizione è partita da Orio al Serio con un’emozione che faceva rumore dentro. «L’aeroporto è stato il primo banco di prova — ricorda Giada —. Il check-in, i controlli, l’attesa: tutto nuovo, tutto da affrontare insieme». A Catania li ha accolti il caldo di settembre, con un’aria salmastra e densa di voci, il ritmo veloce di una città che non si ferma mai. Per i ragazzi è stato come aprire una finestra su un mondo più grande.

La vista dell’Etna

Il giorno dopo hanno raggiunto l’Etna. «Una gita a cui tenevamo molto - sottolinea Miriana - in continuità con le camminate in montagna che i ragazzi fanno durante l’anno, ma in un paesaggio diverso e nuovo, tutto da scoprire». Il vulcano respirava lento, con un vento che sapeva di pietra e di mistero. «Camminavamo piano, ognuno col suo passo — racconta Giada — ma andavamo tutti nella stessa direzione, scortati da una guida che ci ha illustrato ogni particolare con grande cura e sensibilità».

Sebastian si stupiva per i colori della lava, Maddalena raccoglieva piccole pietre scure, Roberto osservava i dettagli, Simone ascoltava il suono dei passi sulla cenere, Daniel restava in silenzio, ma il suo sguardo diceva più di molte parole. «Alla fine, per noi - aggiunge Valentina — non è stata solo un’escursione. È diventata un modo per guardarci dentro, per accorgerci di quanto ognuno di loro sa mettersi in gioco anche quando la strada sembra difficile».

L’Etna, con la sua calma solo apparente, è diventato un maestro silenzioso: ricordava che ogni forza ha un cuore mobile, potenzialmente esplosivo, e che ogni fragilità può custodire una forza nascosta. Lì, tra pietre e vento, è nata una forma nuova di comunicazione reciproca.

Le onde li hanno accolti senza domande, con un abbraccio morbido. «Nel mare — diceva Giada — non ci sono regole complicate: o ti lasci andare o resisti. E noi abbiamo scelto di lasciarci andare, almeno per un breve momento».

Poi il gruppo ha raggiunto il mare, in cerca di una pausa rilassante. Settembre ne addolciva i riflessi, l’acqua era tiepida, il tempo sembrava allungarsi. «All’inizio non tutti volevano entrare in acqua - racconta Valentina - ma poi è bastato un passo, un gioco, un sorriso per cambiare tutto». Le onde li hanno accolti senza domande, con un abbraccio morbido. «Nel mare — diceva Giada — non ci sono regole complicate: o ti lasci andare o resisti. E noi abbiamo scelto di lasciarci andare, almeno per un breve momento».

La sera, tornati in casa, apparecchiavano insieme. Daniel allineava con cura i piatti. «Per lui - ricordava Miriana - era un modo per prendersi cura del gruppo. Anche questo è un modo per comunicare e creare relazioni». Il cibo è diventato una lingua comune, un esercizio di attenzione e di uguaglianza. «Abbiamo cucinato tenendo conto di tutti — racconta Giada — anche di chi aveva la celiachia, e in Sicilia non è stato complicato trovare pietanze adatte a tutti. Nessuno è stato escluso: a tavola eravamo semplicemente insieme».

Si sono fermati all’oratorio Giovanni Paolo II, in un quartiere di periferia, per un incontro con un grande valore simbolico: «È il posto in cui sono cresciuta - spiega Miriana - e in cui è nato il mio desiderio di diventare educatrice. È al centro di un quartiere popolare, in cui crescere è una continua sfida. I ragazzi hanno reagito molto bene, è nata subito una buona sintonia, una comprensione profonda anche senza parole. C’era da entrambe le parti voglia di ascoltare e conoscere. Una specie di gemellaggio, un’occasione speciale».

Hanno fatto una sosta anche al mercato di Catania: un brulicare di voci, odori, movimenti rapidi. «Ci sono sembrati a loro agio, anche se immersi nel rumore — ha detto Miriana —. Nessuno li guardava con curiosità o diffidenza. E noi respiravamo la stessa libertà. Ognuno ha comprato un souvenir e un pensiero per la sua famiglia». Prima di tornare all’aeroporto, si sono fermati per qualche ora a casa dei genitori di Miriana, per riposarsi in vista del viaggio: «Non sapevamo come sarebbe andata - chiarisce lei -, ma dopo pochi minuti sembravano già completamente ambientati, si vedeva che si sentivano a casa. Abbiamo condiviso piatti gustosi, chiacchiere sul terrazzo, risate. I miei genitori si sono lasciati coinvolgere, e i ragazzi si sono sentiti accolti, non come ospiti ma come parte della famiglia».

Piccole e grandi prove, nuove scoperte

Ogni giornata portava la sua piccola prova, la sua scoperta. «Ci sono stati momenti difficili - racconta Giada - ma li abbiamo superati con pazienza, cercando di mantenere sempre un clima sereno. Abbiamo capito che per loro era importante sentire la nostra attenzione e presenza, e ognuno ha trovato il proprio posto nel gruppo».

Il viaggio ha chiesto energia, adattamento, ascolto. Ma ha restituito molto di più. «Anche noi educatrici - spiega Valentina - ci siamo rese conto che non era possibile tenere sempre tutto sotto controllo, abbiamo imparato a fidarci dell’imprevisto. La fatica c’era, ma era una fatica buona, che ti fa sentire viva». Miriana parla di «un’avventura che ci ha costrette a guardare in modo nuovo anche noi stesse». E Giada aggiunge: «Abbiamo toccato con mano che educare non significa spiegare, ma camminare accanto. I ragazzi ci hanno mostrato la strada». Non è stato solo un viaggio, ma un itinerario di scoperta interiore. «Abbiamo voluto offrire loro una situazione diversa - continua Miriana -, perché spesso le persone con disabilità vivono dentro confini definiti, anche inconsapevolmente, dagli altri. Questo è stato un modo per dire: potete andare, scoprire, scegliere».

Nei gesti semplici - un biglietto da obliterare, la spesa al supermercato, il bagaglio da sistemare - si è misurato il valore dell’autonomia. «Vedere la fiducia crescere giorno dopo giorno - osserva Giada -, grazie a piccole conquiste, è stato il dono più grande».

«Vedere la fiducia crescere giorno dopo giorno - osserva Giada -, grazie a piccole conquiste, è stato il dono più grande».

Il gruppo è diventato una piccola comunità in movimento, dove le differenze si sono intrecciate in modo naturale. «I ragazzi si sono aiutati tra loro, senza che noi dovessimo intervenire - commenta Valentina -. C’è stata una solidarietà spontanea, fatta di sguardi e gesti». Al ritorno, nessuno è stato più lo stesso. Il vulcano è rimasto dentro, come una brace silenziosa. C’erano le foto, i souvenir: ma più di tutto contavano le immagini custodite nel cuore - l’acqua che accoglie, il vento del mercato, una tavola condivisa, una risata che rompe la paura. «Abbiamo visto la fragilità diventare forza, e la differenza trasformarsi in opportunità d’incontro - osserva Miriana -. Questa è la bellezza che vorremmo raccontare: quella che non cancella la fatica, ma la trasforma in speranza».

Un’esperienza coraggiosa, oltre i limiti e i pregiudizi, che ha mostrato come la disabilità non definisca le persone, ma semmai il modo in cui la società le guarda. «C’è chi ci ha guardato con scetticismo - chiarisce Giada -, pensando che un gruppo come il nostro non fosse adatto a un’esperienza così. Ma la verità è che nessuno cresce se resta sempre nello stesso posto».

Per qualche giorno quei cinque ragazzi hanno guardato la realtà da una prospettiva diversa, scoprendo che l’autonomia non è assenza di aiuto, ma fiducia reciproca. Hanno camminato, nuotato, riso, affrontato la fatica. Hanno imparato che anche le cose più semplici - una passeggiata, un gelato, un tramonto sul mare - possono essere grandi avventure quando si vivono insieme. «La fragilità - conclude Valentina - è solo un’altra forma di bellezza. E la bellezza, quando la riconosci, ti cambia lo sguardo». Dalla Sicilia sono tornati con qualcosa che non si misura in chilometri ma in sguardi: la consapevolezza che ogni passo, anche il più incerto, può esprimere una forma di coraggio.

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