«Tangente non provata. E se fu pagata non finì all’ex senatore Piccinelli»

FOPPOLO . Mazzetta da 780mila euro per spingere il Pgt. Le motivazioni della sentenza di assoluzione in Appello: «I Boccolini usarono il suo nome per spillare denaro».

«Troppe le incongruenze, troppe le illogicità e le contraddizioni perché Piccinelli possa essere ritenuto responsabile di corruzione». È la conclusone della Corte d’appello di Brescia nelle motivazioni della sentenza del 12 giugno scorso che ha ribaltato il verdetto di primo grado del 21 luglio 2022: Enrico Piccinelli, 59 anni, ex senatore di Forza Italia e già assessore provinciale all’Urbanistica, assolto dopo che era stato condannato a 5 anni dal tribunale di Bergamo.

Era accusato di aver fatto pressioni per l’approvazione in Provincia del Pgt di Foppolo, eccessivamente carico di volumetrie (prevedeva 703 abitanti in più in un paese che ne conta circa 200), in cambio di una tangente scesa dall’iniziale milione di euro a 780mila, di cui 275 mila, per l’accusa, finiti nelle sue tasche tra il dicembre 2013 e l’autunno 2014. A raccogliere la provvista sarebbe stato l’ex sindaco di Foppolo Giuseppe Berera tra un gruppo di imprenditori (tutti assolti in via definitiva) interessati alle speculazioni immobiliari che un Pgt «dopato» di cemento avrebbe garantito. Berera, che per questa vicenda (nata come costola dell’inchiesta sul crack della Brembo Super Ski) ha patteggiato 2 anni e 4 mesi, avrebbe consegnato la somma in più tranche ai fratelli Maria Cristina e Fulvio Boccolini, consulenti fiscali di Bergamo, che avevano speso il nome dell’ex senatore e che pure loro hanno patteggiato a 2 anni.

È l’iter amministrativo della pratica del Pgt di Foppolo a rappresentare, per i giudici di secondo grado, l’elemento «più significativo» che ha portato all’assoluzione di Piccinelli. «Tutti gli enti interessati e i soggetti che presero parte all’istruttoria espressero univocamente, nella sostanza - scrive la Corte d’appello - un parere non favorevole alla compatibilità del Pgt con il Ptct (Piano territoriale di coordinamento provinciale, ndr)», necessaria perché le modifiche volumetriche al Piano di Foppolo venissero approvate dalla Provincia. E alla fine fu bocciato.

Piccinelli non fece pressioni, lo testimoniano, per i giudici, le parole in aula di Chiara Crespi e Giuseppe Epinati, i tecnici che si occuparono della pratica. «Hanno dichiarato in maniera molto ferma e decisa di avere agito “in piena autonomia” - si legge nela sentenza - e di non aver mai ricevuto alcuna interferenza da parte dell’assessore Piccinelli, che venne da loro incontrato a fine istruttoria» e che nella delibera finale sottoscrisse il loro parere «integralmente, senza modificar una virgola».

Ribaltata la condanna di Bergamo

Secondo i giudici di primo grado invece l’allora assessore avrebbe fatto pressioni, assicurando ai Boccolini, gli ufficiali di collegamento - per l’accusa - con Berera e gli imprenditori, che il Pgt di Foppolo sarebbe andato avanti nonostante le macroscopiche anomalìe. Piccinelli avrebbe suggerito a Berera di ricorrere al Progetto strategico sovraccomunale, per tenere in vita le modifiche e tentare di farle approvare con un altro strumento urbanistico. Solo l’entrata in vigore di una nuova legge contro il consumo del suolo nel gennaio del 2016, aveva scritto il tribunale di Bergamo, aveva definitivamente silurato il Piano caldeggiato da Piccinelli. Ma, ribatte la Corte bresciana, non è così. La bocciatura non fu colpa della nuova legge, visto che «in tutto l’iter amministrativo non ci fu mai un solo atto, un solo parere, proveniente dalla Provincia, favorevole all’approvazione del Pgt prima e del Progetto strategico poi». Inoltre, «non è Piccinelli» a suggerire ai presunti corruttori la strada del Piano strategico, bensì i tecnici secondo indicazioni «del tutto lecite in quanto previste dalle stesse norme del Ptcp». Infine, «la modifica del Ptcp era di competenza di un altro assessorato».

«Singolare», secondo i giudici, che il 24.12.13 dalla Provincia, in sede di Valutazione strategica ambientale, arrivi il parere negativo, nonostante poco prima - a detta dell’accusa - Piccinelli abbia ricevuto i primi 25mila euro. E altrettanto «singolare» che, dopo che il 31 marzo la Provincia ha respinto tutte le proposte normative di Foppolo per ampliare l’edificabilità, «al Piccinelli sarebbe stata corrisposta la seconda e più corposa tranche della tangente (480mila euro, grossa parte dei quali trattenuti dai Boccolini ndr)». In più, «difetta la logica», quando si ipotizza che «i presunti corruttori avrebbero comunque “unto” Piccinelli, e in maniera cospicua, ben sapendo che egli si stava allontanando dall’organo che doveva approvare il Piano strategico». I giudici bresciani si riferiscono alla mancata elezione in Provincia dell’allora senatore nel giugno 2014, ampiamente prevedibile, visto che non si era ricandidato.

«Tangente? Può darsi»

Anche se la tangente ci fosse stata per davvero, scrivono i giudici, «non è poi dimostrato che sia poi arrivata veramente a Piccinelli».

Quanto ai testimoni (alcuni, come Berera e i Boccolini, protagonisti della chiamata in correo), la Corte d’appello è tranchant: «inattendibili». A cominciare dall’ex vice sindaco di Carona Mauro Arioli che il 2.5.18 si presentò in Procura per dire che aveva sentito da Santo Cattaneo, ex sindaco di Valleve, della maxi tangente sul Pgt. «A fronte di un’accusa così pesante e precisa in fase di indagini, in udienza Arioli però diviene più evanescente, molto meno preciso e talora contraddittorio», chiosano i giudici. È questo «l’incipit traballante del procedimento».

Per la Corte d’appello, insomma, i Boccolini avrebbero messo in scena un millantato credito per spillare soldi spendendo, a sua insaputa, il nome dell’allora assessore provinciale. Ma perché poi andare incontro a una condanna per corruzione, reato più grave del millantato credito? Per non giocarsi la faccia con Berera di cui temevano possibili ritorsioni, spiega la Corte. E perché, hanno scoperto gli avvocati di Piccinelli, Mauro Angarano e Gianluca Quadri, all’epoca, con la diminuzione della pena «era sicuramente più conveniente, processualmente parlando, confessare la corruzione che il millantato credito».

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