Carcere anche per Massimiliano Cavaliere. L' altro principale indagato nell' inchiesta Maxwork, insieme a Giovanni Cottone ex marito di Valeria Marini e già recluso, è finito in cella perché - secondo gli inquirenti - continuava a brigare e a tenere contatti illeciti, in barba alle prescrizioni degli arresti domiciliari. Cavaliere, detto Max, è ritenuto amministratore di fatto della Maxwork, la società di lavoro interinale che secondo la Procura avrebbe contribuito a svuotare. L'aggravamento della misura cautelare è arrivato ieri su richiesta avanzata dai pm Maria Cristina Rota e Fabio Pelosi: secondo gli inquirenti Cavaliere avrebbe intrattenuto conversazioni telefoniche e ricevuto visite, che non erano autorizzate e violavano le prescrizioni degli arresti domiciliari. La Guardia di Finanza avrebbe raccolto diversi elementi, fra cui telefonate, ma anche messaggi Whatsapp che Cavaliere da casa scambiava con persone in affari con lui. Non solo: determinanti per la decisione del giudice sarebbero anche contatti avuti da Cavaliere con un altro soggetto, indagato - come lui - in un' inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Trentadue gli indagati, di cui 11 bergamaschi, accusati di intestazioni fittizie per eludere la legge in materia di misura di prevenzione patrimoniale: secondo l' antimafia avrebbero ricoperto fittiziamente incarichi societari in aziende legate all' edilizia, che in realtà sarebbero state controllate da uomini delle cosche reggine. Il manager bergamasco non avrebbe negato i contatti contestati, ma li avrebbe ridimensionati: si sarebbe trattato, per Cavaliere, di contatti tenuti per dare una mano alle figlie nella gestione di una loro attività imprenditoriale, estranea all' inchiesta. In questi giorni la Procura di Bergamo ha dato corso anche a sequestri di beni a carico di alcuni indagati. C' è anche l'abitazione da 830 mila euro di via XX Settembre nella quale vivono Massimiliano Cavaliere e la compagna, scampata fino ad ora al sequestro perché intestata a una terza persona che gli inquirenti ritengono un prestanome.
Carcere anche per Massimiliano Cavaliere. L' altro principale indagato nell' inchiesta Maxwork, insieme a Giovanni Cottone ex marito di Valeria Marini e già recluso, è finito in cella perché - secondo gli inquirenti - continuava a brigare e a tenere contatti illeciti, in barba alle prescrizioni degli arresti domiciliari. Cavaliere, detto Max, è ritenuto amministratore di fatto della Maxwork, la società di lavoro interinale che secondo la Procura avrebbe contribuito a svuotare. L'aggravamento della misura cautelare è arrivato ieri su richiesta avanzata dai pm Maria Cristina Rota e Fabio Pelosi: secondo gli inquirenti Cavaliere avrebbe intrattenuto conversazioni telefoniche e ricevuto visite, che non erano autorizzate e violavano le prescrizioni degli arresti domiciliari. La Guardia di Finanza avrebbe raccolto diversi elementi, fra cui telefonate, ma anche messaggi Whatsapp che Cavaliere da casa scambiava con persone in affari con lui. Non solo: determinanti per la decisione del giudice sarebbero anche contatti avuti da Cavaliere con un altro soggetto, indagato - come lui - in un' inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria. Trentadue gli indagati, di cui 11 bergamaschi, accusati di intestazioni fittizie per eludere la legge in materia di misura di prevenzione patrimoniale: secondo l' antimafia avrebbero ricoperto fittiziamente incarichi societari in aziende legate all' edilizia, che in realtà sarebbero state controllate da uomini delle cosche reggine. Il manager bergamasco non avrebbe negato i contatti contestati, ma li avrebbe ridimensionati: si sarebbe trattato, per Cavaliere, di contatti tenuti per dare una mano alle figlie nella gestione di una loro attività imprenditoriale, estranea all' inchiesta. In questi giorni la Procura di Bergamo ha dato corso anche a sequestri di beni a carico di alcuni indagati. C' è anche l'abitazione da 830 mila euro di via XX Settembre nella quale vivono Massimiliano Cavaliere e la compagna, scampata fino ad ora al sequestro perché intestata a una terza persona che gli inquirenti ritengono un prestanome.