Ha vinto la voglia di cambiar passo
Comincia una nuova storia

di Giorgio Gandola
Vedendolo di spalle durante la campagna elettorale una signora gli aveva detto: «Per favore signor Renzi, mi fa un autografo?». Era un segno del destino, un lapsus che oggi somiglia a un imprimatur.

Vedendolo di spalle durante la campagna elettorale una signora gli aveva detto: «Per favore signor Renzi, mi fa un autografo?». Era un segno del destino, un lapsus che oggi somiglia a un imprimatur. Al ballottaggio l’outsider della politica Giorgio Gori ha più che raddoppiato il vantaggio su Franco Tentorio (dal 3 al 7 per cento) e stamane Bergamo è sua.

Sul volto di Gori, qualche minuto dopo la mezzanotte più importante della sua vita non c’è sorpresa, ma un impasto di felicità e fatica, dopo la traversata del deserto. La lunga marcia non è solo nello spazio, non è solo dagli studi Mediaset a Palafrizzoni, ma è un viaggio nel tempo. Perché per una città sobria con accenni di austerità, nella quale i silenzi valgono più delle parole, metabolizzare a primo cittadino l’inventore dell’Isola dei famosi è un gesto, prima che politico, antropologico. Ha vinto il più giovane, quello che dà maggiori garanzie di cambiamento.

E in questo Tentorio paga la crisi, paga l’immobilismo determinato dal patto di stabilità, paga una visione prudente (in linea con la concretezza del suo essere e della città stessa) che oggi non si porta più. Serve una scossa e di solito gioventù e fantasia la determinano meglio. Bisogna tornare a fare gol, nella squadra oggi servono più bomber che mediani.

Gori ha vinto e si issa sullo scranno dal quale si vede una città dalle potenzialità formidabili, dal quale si intuisce la volontà febbrile d’una ripartenza, qualcosa che somiglia a un fiume in piena dalla forza che fa tremare i polsi. Gori ha vinto anche grazie a una coalizione coesa, capace di muovere l’assalto ai voti e di cavalcare l’onda del trionfo renziano. Ma se Gori ha vinto, Tentorio non ha perso. È stato l’Achille indomabile di una coalizione fragile, ha trascinato il centrodestra al ballottaggio facendogli balenare la concreta possibilità di un trionfo quasi impossibile.

Lui che ama la bicicletta - ciclista in rimonta alla ricerca di una volata epica da Saronni o da Basso - è stato stroncato a pochi metri dal traguardo. Un’impresa solitaria senza un finale da champagne. Con alleati guastatori che hanno saputo contenere la sconfitta più che lanciarlo alla vittoria. E con un inciampo dovuto non a un difetto, ma addirittura a una qualità.

Da buon amministratore, ha decretato prima di tutti l’aliquota Tasi quando avrebbe potuto lasciare in eredità la tassa (a se stesso o a Gori) fino all’autunno. E il pasticcio che ne è nato nei corridoi del Comune, con la fila dei contribuenti demoralizzati e perplessi, gli è in qualche modo tornato indietro. Un malefico boomerang del penultimo minuto.

Onore a lui e alla sua sfida finita a braccia sul manubrio. Onore al nuovo sindaco che arriva da lontano per interpretare la modernità immergendosi nei problemi, nella speranza che abbia in tasca soluzioni non convenzionali in un’era non convenzionale. Il resto dei ballottaggi è in equilibrio: Albino e Seriate restano al centrodestra, a dimostrazione che la grande Bergamo e le valli mostrano armonie differenti rispetto alla città e sono laboratori, come sosteneva lo stesso Silvio Berlusconi, della politica forzista e leghista del futuro.

Tornando a Bergamo, comincia una nuova storia. Incrociandosi all’università prima dell’ultimo confronto, Gori e Tentorio si sono chiesti: da lunedì cosa faremo? E hanno risposto: ci annoieremo a morte. Mentivano per scaramanzia. Tentorio avrà molto da opporre, in Consiglio comunale, con la saggezza e l’onestà intellettuale che lo contraddistinguono da quando attaccava manifesti in un’altra epoca della vita pubblica. E Gori dovrà fare il sindaco di Bergamo, che è un onore e non è una fiction. Ma lui, dopo 750 chilometri in bicicletta dentro la testa e pancia di un territorio per molti versi straordinario, oggi è il primo a saperlo.

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