Le azioni inascoltate
del Papa per la pace

Tutti chiudono. Ma lui no. Sa che non c’è alternativa al dialogo e al negoziato. Fa dire al Segretario di Stato che c’è ancora tempo, c’è ancora spazio, c’è ancora posto per sbaragliare le letture e le azioni che ci stanno riportando indietro allo scontro di civiltà, alla paura, all’opzione militare per difendere interessi etnico-nazionali. Jorge Mario Bergoglio lo può fare, perché da anni denuncia il disordine mondiale, la fine del multilateralismo e un presente fuori dai cardini, che gira impazzito e fabbrica pezzi di guerra mondiale.

Tre anni fa di ritorno da Abu Dhabi, dove aveva firmato il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale, confidò: «Per me c’è un solo grande pericolo la distruzione, la guerra, l’odio fra di noi». Sono anni che confida la propria angoscia e suggerisce un’altra agenda, dove la ragione prevalga sulla follia, la fraternità sull’autodistruzione, l’incontro allo scontro. Sono anni che tenta cocciutamente di smascherare interessi e di mappare le relazioni pericolose tra guerra, povertà, profitti energetici, disastri ambientali.

Francesco ha disegnato lo spazio del nuovo pacifismo, quello che non si nutre di retorica o si lustra gli occhi con le bandiere al vento, e che invece studia, riprogetta, propone, insomma supera l’antinomia classica e ideologica «amico-nemico» e si sottrae alla dialettica inconcludente di chi proclama principi per nascondere interessi. La richiesta di riduzione sistemica delle spese militari o, almeno, di una moratoria nella produzione degli apparati militari-industriali con conseguente destino di quelle risorse ad altro, è il segno di un impegno per un percorso diverso dall’equilibrio naturale delle alleanze militari, dai patti bilaterali di protezione e di sicurezza dell’élite militarizzata, politica e industriale, che gioca alla guerra e considera numeri le persone. Per «tutelare le legittime aspirazioni di ognuno», come ha spiegato ieri il cardinale Pietro Parolin, Segretrio di Stato della Santa Sede, occorre «l’esercizio di una saggezza che impedisca il prevalere degli interessi di parte». È un cimento con cui negli ultimi anni il movimento per la pace più avvertito dell’importanza della posta in gioco si è misurato cercando di offrire argomenti e «saggezza» e denunciare il ruolo di spinta che sovranismi, nazionalismi e incompetenze dilaganti hanno avuto nell’addensamento dei gas tossici delle riottosità, delle polemiche, della rabbia, dell’indifferenza. Ma nessun media mainstream lo ha raccontato.

La pandemia, come ha più volte spiegato Papa Francesco, ha fatto il resto, rendendo tutto più drammatico e difficile da districare. Ieri a poche ore dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina il sito della Santa Sede apriva la sua home page con questo titolo: «La guerra dopo la pandemia: minaccia per l’umanità». È la tabella di marcia di uno scenario disperato, ma al quale ancora ci si può opporre. Il Papa lo fa con la forza debole della preghiera, per accendere «un barlume di coscienza», ha scritto Parolin, in coloro che hanno in mano i destini del mondo nell’«ora più buia», ha titolato l’Osservatore Romano. È la stessa forza debole e non ingenua del movimento della pace, che ha lavorato in questi anni contro la retorica della guerra e il pensiero dominante di un futuro pericolosamente somigliante al passato contaminato da chiusure, fortezze, trincee. Lo testimoniano tanti Rapporti su lavoro, economia e finanza, guerre dimenticate e infinite, disastri naturali, globalizzazione, migrazioni, disinformazione, altrettanti appelli a rimettere ordine nel disordine mondiale, unico modo per evitare la necessità della guerra, come in Ucraina.

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