«Bergamo, l’auto elettrica un’opportunità
Qui già produzioni di nicchia importanti»

L’intervista Vavassori (Clepa): l’elettrificazione inarrestabile, per vincere la sfida anticipare le esigenze dei clienti. «Da noi il rischio di perdere occupazione è minore, anzi tra 15 anni avremo il problema di non avere manodopera».

«L’automotive in Italia è importante soprattutto per la filiera delle componenti. L’80% di un veicolo è costituito da questi pezzi, che non vengono prodotti direttamente dal costruttore. L’Italia non è un grande produttore di autoveicoli e quindi necessariamente la filiera delle parti accessorie deve rivolgersi anche all’estero. Da questo punto di vista, l’evoluzione verso la mobilità elettrica offre diverse opportunità, soprattutto in settori, come il nostro, non direttamente influenzati dal cambio di tecnologia».

Roberto Vavassori, membro del consiglio di amministrazione di Brembo spa e del board di Clepa (European association of automotive suppliers, l’associazione europea dei costruttori di materiali per il settore auto) frequenta da decenni il mondo dell’auto e spiega, in questa intervista, i possibili scenari che si stanno aprendo nel comparto.

Di recente è stato confermato lo stop della vendita di automobili a benzina e diesel, a partire dal 2035. Di sicuro ci saranno contraccolpi nella filiera dei fornitori delle case automobilistiche, presenti anche in Bergamasca.

Come rispondere a questa sfida?

«Credo che si debbano cogliere velocemente le opportunità che si presentano. Noi come Brembo lo stiamo facendo e invitiamo tutti i nostri colleghi della filiera a fare altrettanto».

In che modo?

«Innanzitutto, attraverso l’evoluzione dei prodotti. Poi, soprattutto per chi produce in Italia, è necessario aumentare il valore aggiunto della produzione per rimanere competitivi».

Di recente lei ha sostenuto che «nei prossimi 5 anni nulla resterà immutato nelle auto». Siamo alle soglie di una nuova era per l’automobile?

«Certamente sì. La nostra filiera non si è mai negata sulla decarbonizzazione. È una sfida da interpretare fino in fondo, capendo bene e in anticipo le esigenze dei nostri clienti. È l’unico modo per essere competitivi».

In quale ambito?

«L’elettrificazione è inarrestabile. Ma le auto continueranno ad esserci. Si evolvono, diventano più sofisticate. E noi dobbiamo guardare al valore aggiunto dei nostri prodotti perché abbiamo competenze eccellenti, con bravissimi produttori e leader mondiali, ma con una produzione che sforna però articoli che valgono pochissimi centesimi di euro».

Per cui cosa ritiene si debba fare?

«Orientare la produzione verso soluzioni tecnologiche capaci di sviluppare un fatturato di molti euro per singolo prodotto. In questo modo si può diventare più rilevanti e fare maggiore ricerca e sviluppo».

Nella Bergamasca abbiamo un settore metalmeccanico molto importante e sviluppato, però più orientato verso la produzione di parti per motori endotermici. In che misura queste imprese dovranno diversificare la loro produzione?

«Penso a due importanti settori che sono la fusione e la lavorazione meccanica. Per la fusione è innegabile che fondere bene i contenitori di un motore elettrico è un mestiere complesso; impegnativo come produrre teste e basamenti per il motore endotermico. Direi che, viste le competenze, si tratta solo di evolverle, poiché non verrà meno tale necessità. La lavorazione meccanica invece dovrà orientarsi verso la specializzazione nelle nuove tecnologie».

E allora quali sono i timori?

«Il vero rischio è legato a quali produzioni il costruttore - a sua volta alle prese con temi occupazionali - intenderà riportare all’interno della propria organizzazione produttiva, togliendolo perciò dal mercato della fornitura».

Come far fronte a questa eventualità?

«Più le imprese sono grandi, maggiore è il rischio di inefficenze interne. Per cui tanto più la subfornitura sarà in grado di rimanere competitiva e attrattiva in termini di servizio e costo, più facilmente riuscirà ad avere commesse per il futuro. Certo, non sarà facile e una parte della filiera andrà riconvertita».

A livello nazionale si ipotizzano 70mila posti di lavoro complessivamente a rischio per il comparto.

«In realtà, guardando tutta la filiera, sono presenti delle produzioni di nicchia di parti che in un veicolo elettrico diventano molto più importanti e sofisticate. Per cui credo sia necessario svolgere un’analisi molto precisa su quali sono le componenti di cui è fatto un veicolo per capire quali possono offrire delle opportunità anche alle nostre imprese».

Se si va in questa direzione, il rischio di perdere posti di lavoro può essere inferiore?

«Può essere minore. Poi va messo tutto sull’asse dei tempi, perché se guardo da qui a 15 anni, penso che avremo il problema di trovare manodopera. Ma nel frattempo il tema è esattamente opposto. Il nostro territorio per ora è fortunato, siamo quasi alla piena occupazione. Se però guardiamo ad una regione del Sud piccola come il Molise, con una presenza automotive molto importante, è chiaro che lì è presente un tema sociale da affrontare».

Le Case automobilistiche vi affidano i loro prototipi. Quindi avete un osservatorio privilegiato, capite dove stanno andando i costruttori. Puntano molto sull’elettrico, piuttosto che sull’endotermico?

«È solo questione di tempo, ma ormai gli investimenti sull’elettrico hanno preso il sopravvento. Non è più il momento di guardare nello specchietto retrovisore, dobbiamo cogliere tutte le opportunità, in tutti i mercati del mondo».

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