La «fabbrica dei robot» prende vita: il progetto di sette realtà bergamasche

BREMBO IN PRIMA FILA. Tra le ipotesi spazi automatizzati che operano senza luce o riscaldamento. Linee produttive virtuali per testarne l’efficacia. «Ai lavoratori spetteranno ruoli di controllo».

A oggi i macchinari presenti nelle aziende - indipendentemente dal settore produttivo di riferimento - hanno i comandi posizionati a una altezza di circa un metro e 30 per poter essere azionati comodamente da un operatore. Ma, con un inverno demografico sempre più pungente e la crisi di manodopera e di competenze che non accenna a finire, c’è il rischio concreto che, nel prossimo futuro, sempre meno lavoratori, siano presenti nelle aziende ad azionare impianti e linee produttive.

Per trovare una soluzione concreta a questa eventualità è nato un progetto, totalmente bergamasco, che ha l’ambizioso obiettivo di ridisegnare le fabbriche, provando a immaginare un sistema produttivo autonomo e automatizzato, in cui le persone hanno ruoli di supervisione, manutenzione e programmazione, senza più essere «legate» alla macchina.

Il progetto, denominato «Harmony», è guidato dal Consorzio di meccatronica Intellimech e coinvolge Brembo, Cosberg, Elettrocablaggi, Fassi e Siad, mentre la parte di ricerca e sviluppo sarà gestita dall’Istituto italiano di tecnologia (Iit) attraverso il laboratorio Joiint Lab al Kilometro Rosso e dall’Università di Bergamo. Il costo complessivo della sperimentazione non è marginale: 7 milioni e mezzo di euro suddivisi tra i vari partner, con 3,3 milioni finanziati dal bando «Collabora&Innova» di Regione Lombardia.

Ripensare la fabbrica

Se Intellimech è capofila dello studio, Brembo ne è il promotore principale, come conferma il responsabile dei progetti finanziati, Guido Perricone: «Nei prossimi anni, a causa del calo demografico, avremo una perdita di un milione di studenti che si riverberà sulla manodopera sia generica che specializzata. È un bacino che si va ad asciugare e un problema per cui questo progetto prova a trovare una soluzione». Obiettivo dello studio - i partner lo sottolineano bene - non è sostituire lavoratori e lavoratrici, ma poter collocare il minor numero

«Gli elementi robotici non hanno bisogno di luce per muoversi, né di riscaldamento e le aree di lavoro possono trasformarsi, andando per esempio sottoterra. Questo ci permette di progettare luoghi nuovi cercando di abbattere il consumo di suolo e l’impatto energetico»

di addetti che si avranno a disposizione in ruoli chiave, laddove saranno indispensabili e insostituibili, lasciando agli agenti robotici i compiti pericolosi, faticosi e ripetitivi. Questo, però, cambia le regole del gioco. Infatti, se nella fabbrica o nella linea produttiva non devono esserci persone, allora tutti gli standard adottati fino ad ora non hanno più senso e possono essere ripensati. Come sottolinea Perricone: «Gli elementi robotici non hanno bisogno di luce per muoversi, né di riscaldamento e le aree di lavoro possono trasformarsi, andando per esempio sottoterra. Questo ci permette di progettare luoghi nuovi cercando di abbattere il consumo di suolo e l’impatto energetico». «Al centro c’è sempre l’uomo, che governa una fabbrica innovativa e facile da gestire - sottolinea Gianluigi Viscardi, presidente di Intellimech - ma se saranno i robot a muovere le macchine allora dobbiamo farle a loro misura, con spazi che vanno ripensati, così come diversa deve essere la logistica attorno all’azienda. Inoltre, tutto deve essere riconfigurabile, adattabile a dimensioni aziendali diverse e riutilizzabile in un’ottica di economia circolare».

Il modello digitale in 30 mesi

«Harmony» avrà una durata di 30 mesi e l’avvio ufficiale sarà a metà settembre, anche se, come spiegano da Intellimech, «molto viene dall’esperienza di robotica applicata già maturata dal Joiint Lab». Antonio Ferramosca, professore di Automatica dell’Università di Bergamo è il responsabile scientifico del progetto e chiarisce: «Partiremo da alcuni casi concreti, necessità che i diversi partner aziendali coinvolti ci presenteranno e su cui inizieremo a progettare, poi realizzeremo linee produttive automatizzate e virtuali così da poterle vedere in azione e misurarne l’efficacia grazie alla creazione di un metaverso industriale». «Questo è il vero passo in avanti - conclude - perché il nostro progetto, a differenza di altre sperimentazioni, sarà modulare e ci permetterà di creare delle parti che potranno essere adattate alle singole esigenze delle realtà imprenditoriali e composte insieme in quella che possiamo definire come la fabbrica del futuro».

Da parte sua l’Università schiererà quattro gruppi di ricerca con 18 persone coinvolte che lavoreranno gomito a gomito con gli ingegneri e i ricercatori dell’Iit. «Uno degli elementi cruciali sarà comunicare bene con gli attori industriali - sottolinea Ferramosca - perché spesso ricerca e imprenditoria non parlano la stessa lingua, ma in questo progetto sono coinvolte l’algortimica robotica, di automazione e di virtualizzazione e tutto deve essere armonizzato».

© RIPRODUZIONE RISERVATA