Afghani, le parole
scomode di Mattarella

Interviene raramente in pubblico, nonostante i partiti lo tirino per la giacchetta affinché prenda posizione su argomenti politici, come nel caso del sottosegretario leghista all’Economia Claudio Durigon, poi dimessosi, che voleva dedicare una piazza di Latina al fratello di Mussolini. Ma il presidente della Repubblica Sergio Mattarella conosce bene i confini istituzionali del suo ruolo e quando prende parola lascia il segno, avendo la dote di centrare sempre il punto delle questioni. Lo ha fatto anche domenica scorsa da Ventotene, l’isola dove è nata l’idea di un’Europa unita e dove il Capo dello Stato ha deposto una corona sulla tomba di Altiero Spinelli, nell’80° anniversario del Manifesto che ha posto le basi per la nascita dell’Unione.

«In questi giorni - ha detto Mattarella - una cosa appare sconcertante e si registra nelle dichiarazioni di politici un po’ qua e là in Europa. Esprimono grande solidarietà agli afghani che perdono libertà e diritti, ma che restino lì, “non vengano qui perché non li accoglieremmo”. Questo non è all’altezza dei valori della Ue». La parola scomoda che fa la differenza in un discorso così vero e netto è «sconcerto»: dalla bocca di un uomo mite come l’inquilino del Quirinale è una scossa.

Lo sconcerto non è rivolto solo ad Austria, Ungheria e Slovenia, indisponibili ad accogliere chi scappa dall’Afghanistan, ma ai tanti politici e alla Ue stessa che il giorno dopo il ritorno dei talebani al potere a Kabul hanno espresso come prima preoccupazione l’arrivo nel nostro continente di migliaia di fuggiaschi (una stima di 250 mila, non si capisce identificata da quale fonte), senza aver compreso quello che era accaduto e la sua portata sul piano geopolitico internazionale e su quello del Paese centro asiatico, caduto nuovamente nelle mani dei mujaheddin e possibile preda di uno scontro fra jihadisti, pronti a colpire anche all’estero da uno Stato fallito, al pari di Somalia, Siria e Libia. Ma Mattarella non si limita allo sconcerto: «So bene - ha aggiunto con realismo - che molti Paesi sono frenati da preoccupazioni elettorali contingenti ma così si finisce per affidare la gestione del fenomeno agli scafisti e ai trafficanti di esseri umani». Quel che manca oggi all’Europa, lo sappiamo, è una politica comune sulle migrazioni ed è questo, per il presidente della Repubblica, uno dei problemi più urgenti da affrontare per «evitare di essere travolti da un fenomeno incontrollabile». Quante volte i Paesi più esposti agli sbarchi (Italia, Grecia e Spagna) hanno ricevuto pacche sulle spalle dagli altri Stati Ue e parole di vicinanza, ma poi non hanno mai ottenuto disponibilità ad esempio alla redistribuzione dei migranti.

La solidarietà a parole costa niente. C’è invece quella fattiva di tante persone comuni che in questi giorni hanno raggiunto i luoghi dove sono ospitati i 5 mila afghani che hanno collaborato con il nostro esercito e la nostra cooperazione, arrivati in Italia con il ponte aereo, portando cibo, vestiti, soldi o offrendo ospitalità nelle proprie abitazioni alle famiglie.

Sono anni che gli afghani cercano di raggiungere l’Europa, un movimento spia di una cattiva situazione nel loro Paese (attentati e 300 interpreti uccisi negli ultimi 5 anni) che non abbiamo saputo interpretare. L’Ue punta a trattenere i fuggiaschi in Iran e Pakistan in cambio di miliardi di euro: già ospitano la grande maggioranza dei profughi afghani (circa 2,2 milioni). Si distingue l’Albania, verso la quale ci sono molti pregiudizi. Ha predisposto 3 mila posti (su 2,8 milioni di abitanti) per gli afghani in alberghi lungo la costa: «Sappiamo cosa significa vivere sotto una dittatura - ha detto il primo ministro Edi Rama - e vogliamo sdebitarci dell’accoglienza che abbiamo ricevuto quando a scappare eravamo noi». È questa la solidarietà non a parole secondo Mattarella.

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