Allarme per i missili: la guerra deve finire

Ricapitolando. Due giorni fa la Russia ha lanciato il più pesante attacco missilistico dei nove mesi di guerra con l’Ucraina. Quasi 100 missili per colpire, come avviene da settimane, le infrastrutture energetiche, con l’evidente intento di lasciare gli ucraini al buio e al freddo.

Nel tentativo di difendersi, le forze armate ucraine hanno usato la contraerea, riuscendo ad abbattere una certa parte degli ordigni russi. Nel farlo, però, hanno causato vittime e danni collaterali. A Kiev, un missile russo colpito ma non distrutto è precipitato su un palazzo. In Polonia, come ben sappiamo, due missili hanno investito una fattoria vicina al confine con l’Ucraina e sono morte due persone. Per molte ore il presidente ucraino Zelensky e la stampa europea hanno accusato il Cremlino di aver attaccato la Polonia, e siamo rimasti con il fiato sospeso di fronte alla prospettiva di un allargamento della guerra e di uno scontro tra la Nato (di cui la Polonia è membro) e la Russia. Poi le cose si sono chiarite: a colpire il territorio polacco sono stati dei missili antiaerei ucraini, lanciati senza successo e poi ricaduti oltre il confine. L’allarme internazionale è così rientrato.

Nella sostanza i fatti sono questi. E di fronte a questi fatti potevamo assumere due atteggiamenti. Il primo: prenderli come una prova generale di ciò che potrebbe succedere. Perché in effetti potrebbe verificarsi, in questa lunga guerra ormai diventata di logoramento, l’incidente fatale o la decisione avventata; il conflitto potrebbe allargarsi e coinvolgere altri Paesi come la Polonia, la Moldavia, i Baltici; la Nato (che ha mantenuto il sangue freddo nelle scorse ore) e gli ambienti più oltranzisti americani (soprattutto il Dipartimento di Stato, i militari sembrano invece premere per il negoziato) potrebbero decidere di raccogliere un’eventuale sfida russa; potrebbe riaffacciarsi lo spettro del nucleare, visto anche che Zelensky sente odore di vittoria e Putin non può permettersi una sconfitta.

Di fronte a simili prospettive una politica sana, intelligente e attenta al bene comune dovrebbe spendere tutte le proprie energie per fermare la giostra, per impedire che si continui a scivolare lungo una china che ha fatto solo incrudelire le cose. L’ha spiegato bene, nei giorni scorsi, il generale Mark Milley, capo degli stati maggiori riuniti delle forze armate Usa. Il più alto in grado della più grande armata della storia del mondo ha detto che: né l’Ucraina né la Russia possono ottenere una vera vittoria militare; le perdite sono già atroci, almeno 100mila uomini (tra morti e feriti) per l’una e per l’altra; l’Ucraina ha tra 15 e 30 milioni di rifugiati e profughi e patisce distruzioni enormi. Aggiungiamo noi che la Russia, ormai, è il secondo Paese al mondo più dipendente dal commercio con la Cina. E il primo è la Corea del Nord. Come si fa a parlare ancora di armi, di guerra, di strategie belliche? Come si può non capire che il primo obiettivo di Usa e Ue, con la partecipazione magari di una Cina mai così influente su Mosca, dovrebbe essere quello di elaborare una proposta di cessate il fuoco, per poter poi lavorare con tempo e calma a una trattativa di pace che sarà ovviamente difficilissima? Tanto più che la Russia, mentre si ritira sul campo, ancora dimostra di poter colpire in modo pesante e di non essere prossima al crollo sociale, economico e finanziario?

E invece no. In Italia abbiamo continuato a sentire un linguaggio bellicista che pare ormai fuori dal mondo. È vero, alla fin fine in questa guerra facciamo i portatori d’acqua, siamo poco coinvolti. Ma abbiamo una storia di relazioni con i Paesi dell’Est che ci permetterebbe ben altro ruolo, soprattutto in un’ottica di mediazione. In Europa, invece, non abbiamo sentito niente. Non uno dei leader dei grandi Paesi che abbia osato o voluto dire che l’inverno alle porte rallenterà le operazioni e dunque potrebbe aiutarci a far tacere le armi e lavorare a una soluzione politica. L’abbiamo detto un milione di volte: la Russia è l’aggressore e l’Ucraina l’aggredito, cosa che in un negoziato non potrebbe essere dimenticata. Ma se succedesse l’irreparabile, e la guerra coinvolgesse l’Europa, i torti e le ragioni sparirebbero. Resterebbero solo i dolori e i lutti.

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