Concorrenza a destra tutta a danno di Salvini. E la Meloni accelera

Ora che quasi tutta l’Italia è in zona bianca, il tormentone delle forze politiche è diventato quello che riguarda la fine dello stato di emergenza, ossia della speciale condizione giuridica che tiene in piedi la struttura commissariale oggi gestita dal generale Figliuolo e consente una gestione procedurale più semplice e veloce per la campagna vaccinale. Sull’argomento si è aperta la solita gara nel centrodestra tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Le proteste di quest’ultima contro «l’umiliazione dello Stato di diritto e dei poteri del Parlamento» e l’invocazione di un liberi tutti da attuare non rinnovando lo stato di emergenza, ancora una volta obbliga Salvini a darsi da fare con il capo del governo.

Il leader della Lega non può concedere all’alleata-concorrente di impugnare la bandiera della protesta (via via sempre più attenuata, in realtà, dal progressivo allentamento delle restrizioni) e quindi prova a battere i pugni sul tavolo di Palazzo Chigi facendosi ricevere dal presidente del Consiglio. Ma, e non è la prima volta che capita, le dichiarazioni del capo leghista alla vigilia di un colloquio con Mario Draghi non hanno rispecchiato quelle rilasciate subito dopo: barricadere le prime, prudenti le seconde. E così è accaduto anche ieri: la perentoria richiesta di far decadere lo stato d’emergenza anche prima del termine previsto di fine luglio «per far respirare gli italiani», si è trasformata in un appello al Cts a valutare bene il da farsi rimandando appunto alla fine del mese prossimo le decisioni sul da farsi: «C’è tempo».

Draghi deve aver spiegato a Salvini che per quanto sia il primo ad essere convinto della necessità di mandare segnali di fiducia al Paese che agevolino la ripresa economica, tuttavia il governo non può derogare dalla linea di prudenza e gradualità che finora lo ha fatto camminare con i piedi di piombo sulle restrizioni cercando contemporaneamente di accelerare il più possibile sulla campagna vaccinale: Figliuolo ha portato avanti bene il suo lavoro, e su questo non si ascoltano critiche politiche, ma ancora il virus non è del tutto sconfitto e oltretutto c’è la variante indiana che preoccupa parecchio. Salvini si deve essere convinto – suscitando l’ironia dei democratici e dei grillini su queste sue rapide evoluzioni – ma non toglie che la concorrenza a destra è tutta a suo danno. Il partito della Meloni, soprattutto ora che alcuni sondaggi (non tutti, per la verità) dicono che ha superato la Lega, spinge ancor di più sul pedale dell’opposizione cercando di spremere il più possibile il vantaggio che una simile posizione regala a chi la detiene, per di più in solitudine. La linearità di Fratelli d’Italia batte le inevitabili, obbligatorie e comprensibili tattiche di Salvini che paga un prezzo allo stare nel governo e a condividerne le scelte, oltretutto avendo un interlocutore piuttosto coriaceo come Mario Draghi: l’ex governatore della Bce è abituato a tenere a bada i governi più potenti, difficilmente si impaurisce di fronte ai partiti italiani.

Per battere la concorrenza di Meloni, Salvini prova a giocare la carta della federazione con Forza Italia che regalerebbe al 20 per cento dei voti della Lega un 9 per cento con cui sarebbe ben più agevole contrastare la crescita della destra. Ma la federazione col Carroccio dentro il partito azzurro piace a pochi dal momento che tutti sanno che a comandare sarebbe Salvini, e quando Antonio Tajani lancia l’idea addirittura del «partito unico» è perfettamente consapevole che esso rimarrà «un sogno» cui nessuno, in realtà, vuole abbandonarsi.

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