Confusione mondiale in un quadro complicato

MONDO. Grande è la confusione sotto il cielo, diceva Mao Tse Tung, che di confusione si intendeva. Chissà che cosa direbbe se potesse vedere quel che vediamo noi.

C’è uno scontro in corso tra Stati Uniti e Russia per interposta ucraina, un braccio di ferro da cui, secondo il cancelliere tedesco Scholz, dipende l’ordine mondiale e il destino della società liberal-democratica. E ci ritroviamo con un presidente americano di 81 anni la cui fragilità è ormai sotto gli occhi di tutti. Tanto che il procuratore speciale Robert Hur, che doveva decidere se incriminarlo o no per aver conservato documenti classificati nella propria residenza, decide di non avere sufficienti elementi d’accusa anche in considerazione dei buchi di memoria che affliggono Joe Biden. Il quale risponde furioso, confondendo però il presidente del Messico con quello dell’Egitto. Già ai tempi di Barack Obama, quando era vicepresidente, Biden era noto per le sue gaffe. Ma il dubbio, adesso, è che la sua lucidità stia purtroppo svanendo.

Sull’altro lato della barricata troviamo un Vladimir Putin che, a 71 anni, non ha problemi di memoria ma sempre più somiglia ai vecchi esponenti del Pcus, irrigiditi nelle poltrone del Cremlino e inclini a ripetere in modo robotico slogan resi frusti dall’abitudine e dagli anni. Lo abbiamo visto nell’ormai famosa intervista al giornalista americano Tucker Carlson: era un’occasione per rivolgersi in modo diretto e originale a un vasto pubblico internazionale (Elon Musk aveva anche offerto la rampa di lancio di X-ex Twitter), lui l’ha dispersa tra lunghe tirate di dubbia credibilità storica e risposte che erano la fotocopia degli argomenti che vengono ogni giorno ripetuti dai media allineati al Cremlino.

Sono questi i leader che tengono decine di Paesi con il fiato sospeso? Non dobbiamo però credere che sia solo un problema di vertici. Quante volte abbiamo sentito parlare dei «ribelli Houthi», che ora minacciano anche le navi italiane che dovessero passare nel Mar Rosso? Ma ribelli a cosa, lo sappiamo? Qualcuno ci ha mai raccontato che questi «ribelli» ora controllano il 70% dello Yemen, capitale Sanaa compresa, e che possono mettere in campo circa 120mila uomini ben armati grazie agli arsenali dell’Iran? Che hanno respinto una coalizione militare capitanata dall’Arabia Saudita e appoggiata da Paesi come Usa, Canada e Francia?

La sensazione dilagante è che questo mondo sia diventato troppo complicato per affidarlo alle solite ricette. Nel giro di pochi decenni la Cina del delirio maoista è diventata una potenza economica, la Russia dello sprofondo post-sovietico si è intestata un presunto ruolo da potenza, l’India di ogni squilibrio si è seduta al tavolo dei grandi e quello che chiamavamo Terzo Mondo ora fa da variabile imprevedibile nei vecchi assetti internazionali. Noi a che cosa possiamo affidarci? Gli Usa sono e restano l’unica vera superpotenza ma il loro attuale smarrimento politico è fin troppo evidente. Si veda, per esempio, l’incertezza nella crisi di Gaza e l’incapacità di convincere Gerusalemme ad accettare le soluzioni proposte da Washington, fin quasi a farsi prendere a male parole da Netanyahu. L’Unione Europea sarà pure, come dice il suo alto commissario alla politica estera Borrell, un giardino in un mondo di giungle. Ma è un giardino timido, che nelle grandi crisi non riesce quasi mai a farsi sentire. Non sulle migrazioni, che pure la riguardano in prima persona. Non sul conflitto tra Israele e i palestinesi, in cui replica l’impotenza mostrata sulla Siria e sulla Libia. E anche per l’Ucraina il bilancio è critico. Ora sosteniamo Kiev con tutte le forze ma non possiamo dimenticare che dal 2014 al 2022 furono Francia e Germania, per conto della Ue, a mediare tra Russia e Ucraina. Anni otto, risultati zero.

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