Diplomazia a piccoli passi evitando la rottura

MONDO. Sul Bosforo è andata meglio del previsto: russi e ucraini non si sono messi a litigare pubblicamente, ma hanno deciso costruttivamente di scambiarsi mille prigionieri per parte e di rivedersi presto per discutere un piano serio per un vero cessate il fuoco.

Di più non si poteva pretendere da due popoli che da tre anni imbracciano le armi l’uno contro l’altro e che avevano cancellato qualsiasi contatto diretto tra le rispettive diplomazie. Le posizioni negoziali di partenza, lo si sapeva, sono troppo lontane e di fatto oggi sono inconciliabili. Sia Putin che Zelensky non sono al momento disponibili a compromessi che avrebbero un costo politico personale troppo alto e che difficilmente potrebbero essere accettati dalle opinioni pubbliche nazionali. Donald Trump è costretto così a prenderne atto. La sua azione ha comunque obbligato i due belligeranti ad iniziare a parlarsi per trovare una soluzione. E per portare qualche risultato a casa, lo si è capito, si dovrà procedere con un lento lavoro certosino che mal si addice al «tutto e subito» del tycoon newyorkese.

Ma non solo. Sarà necessario far tesoro anche delle due giornate in riva al Bosforo. Insulti, minacce, scorrettezze, astuzie diplomatiche di bassa lega hanno infatti fatto da corollario a questo primo incontro in un ambiente in cui la tensione l’ha fatta da padrone. Ad Istanbul è soprattutto emerso ancora più forte che per la Russia la «questione ucraina» è di vitale importanza e che Mosca è pronta a «combattere per decenni» pur di avere la meglio. In certi ambienti occidentali questo approccio ideologico continua a non essere compreso. Proprio il carattere di lotta per l’esistenza, per essere Potenza e quindi contare nel mondo, rende il conflitto ucraino estremamente pericoloso con il rischio che questa tragedia spaventosa possa tramutarsi in qualcosa di molto peggiore. Alle notizie provenienti dalla Turchia non sono state positive le reazioni dei cosiddetti «Paesi volenterosi», che hanno nuovamente lodato la tenacia di Kiev nel combattere per la sua libertà. «Il Cremlino non è costruttivo, serve unità tra Unione europea e Stati Uniti» ecco in sintesi ciò che è stato dichiarato dai leader europei - riunitisi a margine di un summit a Tirana - dopo una conversazione telefonica con Donald Trump. Alla domanda se Putin desidera la pace, oggi si può rispondere che il capo del Cremlino vuole imporre la «pax russa», ossia la sua e alle sue condizioni. Quanto ciò gli costerà e quanto tempo ci vorrà, a Mosca non interessa.

Ad Istanbul è soprattutto emerso ancora più forte che per la Russia la «questione ucraina» è di vitale importanza e che Mosca è pronta a «combattere per decenni» pur di avere la meglio

Ecco perché il «fronte intransigente» dei Paesi Ue - baltici e scandinavi in primis - preme per applicare rapidamente nuove sanzioni economiche contro la Russia, questa volta incentrate sul settore energetico. L’Ue con il 17° pacchetto e gli Stati Uniti hanno posto nel loro mirino la «flotta ombra» che distribuisce il petrolio di Mosca nel mondo. La logica, sposata anche da Zelensky, è che non appena Putin avrà finito i soldi, si ridurrà la sua aggressività e il capo del Cremlino sarà incline a più miti consigli. All’orizzonte l’unica prospettiva che si vede per fermare l’attuale spargimento di sangue è quella di tornare ad uno scenario di «conflitto congelato», come tra il 2015 e il 2022. Quello alla fine sarà l’obiettivo di Putin se non riuscirà a conquistare l’Ucraina nei prossimi mesi e ad indebolire gli occidentali.

L’invito di Papa Leone

Contemporaneamente agli incontri di Istanbul, Papa Leone XIV ha invitato la comunità internazionale a chiudere le attuali contese e a seguire la via del dialogo, «sradicando le premesse di ogni conflitto e di ogni distruttiva volontà di conquista» in particolare in Ucraina e in Terra Santa. Il Santo Padre ha anche rilanciato l’appello di Bergoglio a fermare la corsa al riarmo. Il Cardinale Pietro Parolin ha intanto reso noto che la Santa Sede si è offerta come luogo per incontri diretti fra russi e ucraini. Il Segretario di Stato vaticano ha poi osservato dispiaciuto che «siamo di nuovo all’inizio», quando si era sperato che un processo di pace, seppur lento, potesse già partire. In conclusione, ad Istanbul si è partiti al rallentatore, ma si è evitata la rottura. E questo non è poco.

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