Dramma a Gaza, le parole che Meloni sta evitando

MONDO. Sulla situazione nella Striscia di Gaza si acuisce lo scontro politico tra maggioranza e opposizione. Se ne è avuta prova mercoledì mattina a Montecitorio durante l’intervento del ministro degli Esteri, Antonio Tajani.

Il leader di Forza Italia è stato molto netto nella condanna delle modalità dell’offensiva israeliana nella Striscia che a suo dire «sta assumendo forme assolutamente drammatiche e inaccettabili» che «feriscono i nostri valori e indignano le coscienze». Per quanto «legittima», la reazione di Israele «ad un terribile e insensato atto terroristico», tuttavia, sostiene il governo italiano, ora Netanyahu si deve fermare, devono cessare i bombardamenti, lo sfollamento forzato della popolazione civile palestinese, e – mentre devono essere liberati gli ostaggi ancora vivi - si lavori al piano arabo-egiziano di ricostruzione. E infine Tajani ha ribadito che l’Italia è disponibile a partecipare ad una missione Onu a guida araba per il mantenimento della pace a Gaza.

L’accusa viene rivolta direttamente alla presidente del Consiglio che finora ha evitato di pronunciare parole definitive su quanto sta accadendo (nell’ultima sessione del premier-time, le calcolatissime parole di Meloni hanno dato l’impressione di voler svicolare)

Tutto questo però, non è bastato alle opposizioni che hanno duramente contestato al ministro di non aver speso una sola parola per condannare personalmente l’autore dell’offensiva di Israele, e cioè Benjamin Netanyahu: siete in imbarazzo hanno detto democratici, grillini e Avs, nel prendere le distanze dal governo di Gerusalemme, «e per questo sarete condannati dalla storia».

In realtà, l’accusa viene rivolta direttamente alla presidente del Consiglio che finora ha evitato di pronunciare parole definitive su quanto sta accadendo (nell’ultima sessione del premier-time, le calcolatissime parole di Meloni hanno dato l’impressione di voler svicolare). Perché insomma Meloni tace quando altri leader europei si scagliano contro Bibi? Per la ragione che questo le comporterebbe uno screzio con un governo alleato e «affine» come quello attualmente incarica in Israele portandosi dietro anche una reazione americana (nonostante le critiche di Trump a Netanyhau). E poi sul piano interno, ancora una volta Meloni è condizionata dalle posizioni di Matteo Salvini, l’unico che si schieri così apertamente con Israele, l’unico a elogiare Netanyahu quando mezzo mondo lo condanna e anzi lo vorrebbe trascinare su un banco degli accusati in tribunale. Scoprirsi a destra è un favore che la leader di Fratelli d’Italia non vuol fare al capo della Lega anche se questo le comporta un danno di immagine anche internazionale. Non è un caso che il ministro della Difesa Crosetto, probabilmente per riequilibrare un po’ la linea del governo, non manca di ripetere che «Netanyahu sta sbagliando tutto e si deve fermare». Parole che però Meloni non pronuncia.

La parola «genocidio» non compare nella mozione unitaria della sinistra, ma neanche quella di «Hamas». Un fragile equilibrio di vocabolario centrato sulla richiesta di un immediato cessate il fuoco, della liberazione degli ostaggi, degli aiuti alla popolazione civile, insieme all’appello alla Ue perché riconosca immediatamente lo Stato di Palestina secondo i confini del 1967

Dunque la sinistra unita spara a zero contro queste difficoltà in cui si trova la maggioranza, e anzi convoca per il 7 giugno una manifestazione unitaria tra Pd, M5S, Avs aperta anche ai centristi di Renzi e Calenda (che però hanno non poche riserve, per esempio sulla richiesta al governo di non vendere più armi a Israele e di sanzionare sia il governo di Gerusalemme che i coloni della Cisgiordania). La parola «genocidio» non compare nella mozione unitaria della sinistra, ma neanche quella di «Hamas». Un fragile equilibrio di vocabolario centrato sulla richiesta di un immediato cessate il fuoco, della liberazione degli ostaggi, degli aiuti alla popolazione civile, insieme all’appello alla Ue perché riconosca immediatamente lo Stato di Palestina secondo i confini del 1967. Da quel che si capisce la manifestazione del 7 giugno non dovrebbe assorbire quella del 21, convocata dalla Cgil e da molte associazioni la cui piattaforma è decisamente più schierata dalla parte dei palestinesi e contro il riarmo europeo.

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