Est Europa, cosa dicono quelle piazze piene

MONDO. Pacifiche e partecipate manifestazioni di protesta in Georgia, Serbia, Romania, Ungheria e Slovacchia, tensioni in Bosnia e Macedonia del Nord. Cosa sta succedendo nell’Europa orientale e nei Balcani, porzione geografica del Vecchio continente che non può essere compresa con sguardo occidentale, tanto meno con pregiudizi liquidatori?

Le contestazioni avvengono in Stati che hanno un denominatore comune (giovani democrazie nate dal dissolvimento dell’Urss, del Patto di Varsavia e della Jugoslavia), contro corruzione e oligarchie, eredità di un passato che non passa, e per cause specifiche. A Belgrado il 15 marzo scorso c’è stata la più grande protesta della storia serba, con centinaia di migliaia di studenti e cittadini nella capitale per una contestazione non violenta, nonostante provocazioni e abusi della polizia. Il culmine di un movimento che da novembre 2024 va in piazza ogni fine settimana, dopo il crollo di una tettoia nella stazione ferroviaria di Novi Sad (16 vittime), accusando il governo (dimessosi) di irregolarità negli appalti di infrastrutture non a norma. Nel mirino anche il presidente filorusso Aleksandar Vučić, già ministro dell’Informazione del regime di Milosevic, che fa uso di maniere forti contro le opposizioni.

In Georgia invece da cinque mesi ogni sera la capitale Tblisi e altre città sono teatro di proteste contro il nuovo potere che si è insediato dopo le elezioni legislative (segnate da brogli accertati dall’Osce) e l’arrivo alla presidenza dell’ex calciatore Mikheil Kavelashvili. Potere non riconosciuto dalle minoranze, interamente nelle mani di «Sogno georgiano», partito filorusso che aveva però condotto la campagna per il voto con un programma europeista (le 27 stelle dell’Ue nel logo) salvo poi rinnegarlo una volta entrato nella stanza dei bottoni, rimandando al 2028 il processo di ingresso nell’Unione, previsto nella Costituzione. Genesi che ricorda quanto avvenuto in Ucraina: Viktor Janukovyč fu eletto presidente nel 2010 con l’impegno di aderire al Trattato di associazione all’Ue. Ma nel 2013 non andò al vertice di Vilnius per la sigla: fu la miccia della «rivolta della dignità» di Euromaidan, alla quale la Russia rispose con l’annessione militare della Crimea nel febbraio 2014 e il sostegno in armi e milizie ai separatisti del Donbas.

Le proteste in Romania

Diversa la natura delle proteste in Romania. Il secondo turno delle presidenziali è stato annullato dalla Corte costituzionale: il primo era stato vinto dal candidato ultranazionalista e xenofobo Călin Georgescu con il 22,9% di consensi, accusato di aver utilizzato per la campagna elettorale un milione di euro non dichiarato e di sospetta provenienza. La Procura di Bucarest lo ha indagato per istigazione a commettere atti anti costituzionali, comunicazione di false informazioni, organizzazione di un gruppo razzista e apologia di crimini di guerra, dopo aver trovato nelle abitazioni di suoi collaboratori armi e soldi in nero. A maggio la Romania tornerà al voto fra tensioni e proteste contro o a favore di Georgescu.

Il rinascente imperialismo russo

Nell’Europa orientale il pericolo per la maggioranza delle opinioni pubbliche è il rinascente imperialismo russo. Anche nei Balcani: Mosca ad esempio appoggia il progetto di secessione della Republika Srpska dalla Bosnia. Il Cremlino agisce attraverso la cosiddetta «guerra ibrida» cercando di influenzare le scelte di Stati confinanti o prossimi, per evitare che diventino contagiose democrazie compiute e si integrino nell’Europa politica. Non è un caso che anche i partiti sovranisti dell’Occidente continentale guardino con simpatia (ricambiata) a Vladimir Putin e agli Usa di Donald Trump artefice della diplomazia diretta con i singoli Paesi. La risposta migliore è costruire finalmente un’Ue che trovi risposte efficaci a disuguaglianze economiche ed emergenze sociali, una politica estera comune almeno sui dossier più importanti e una difesa integrata. Ma servono abilità e onestà d’intenti.

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