Fisco e ponte sullo Stretto, ripresa d’immagine dopo Cutro

Politica. Nella stessa riunione del consiglio dei ministri il governo di Giorgia Meloni ha varato tre provvedimenti fortemente identitari. Innanzitutto la riforma organica del fisco, poi il via – per decreto – al Ponte di Messina e infine un nuovo passo della riforma dell’autonomia rafforzata, la cosiddetta «legge Calderoli».

Tasse, Ponte e Regioni: il governo ci sta dicendo che ha tutta l’intenzione di mettere a terra il suo programma di centrodestra: vedremo se ci riuscirà, naturalmente, perché le cose sono complesse e soprattutto per il Fisco il cammino è lungo. Però, politicamente parlando, il consiglio dei ministri di ieri è particolarmente importante, venendo dopo le disavventure sui migranti, l’incerta riunione di Cutro e le terribili accuse da cui Meloni si è dovuta difendere. In qualche modo la visita a palazzo Chigi dei superstiti del naufragio davanti alle coste calabresi si lega proprio alle riforme di cui stiamo parlando: significa una ripresa di iniziativa e di immagine.

Il fisco, innanzitutto. La riforma dell’Irpef (le aliquote, già ridotte da cinque a quattro da Draghi, ora scendono a tre); l’obiettivo della flat tax per tutti, il quoziente famigliare per chi ha più figli, la riforma delle detrazioni, la riduzione dell’Ires per le imprese che reinvestono gli utili, la cedolare secca per gli immobili non usati a fini abitativi (quindi commerciali), il riconoscimento delle ragioni di chi dimostra di non aver pagato il dovuto per cause oggettive non dipendenti dalla sua volontà. Sono tutti articoli di una riforma molto complessa che ora comincia il suo cammino (prima la legge delega dovrà essere approvata dal Parlamento poi, entro 24 mesi, saranno varati i decreti legislativi che potranno venir corretti ancora per i due anni successivi) ma che ha un appuntamento molto ravvicinato: a gennaio 2024 le aliquote comunque passeranno a tre: «presto approveremo il primo modulo della riforma» ha chiarito il padre della legge, il viceministro Leo.

La riforma è appoggiata dagli imprenditori (Confindustria), dai commercianti, dagli autonomi e dagli ordini professionali; la osteggiano invece i sindacati confederali che chiedono al governo di ritirare il testo e di discutere con loro. Un tempo questo tipo di ultimatum (lanciato dal segretario della Cgil Landini d’accordo con i suoi colleghi di Cisl Sbarra e Uil Bombardieri) avrebbe avuto un immediato effetto di blocco, ora no: Leo ha risposto a Landini quasi con sarcasmo che «gli spiegherà bene cosa c’è scritto nella legge, soprattutto per il lavoro dipendente». L’impressione è che il governo scelga soprattutto di aiutare il ceto medio – quello impoveritosi dopo le crisi ricorrenti – e le famiglie con più figli, e questo è perfettamente coerente con il programma elettorale del centrodestra e con la sua identità. Dopo la Cgil, anche il Pd di Schlein e il M5S di Conte si muoveranno di conseguenza, e l’obiettivo principale sarà bloccare la flat tax per tutti. La sinistra considera questo provvedimento anticostituzionale e dunque c’è da aspettarsi una battaglia serrata che però potrebbe allontanare dal Pd strati non piccoli di popolazione tradizionalmente vicini al centrosinistra ma che si sentono tartassati dal Fisco.

Il riavvio del Ponte sullo Stretto, infine, è la vittoria di Salvini che se lo è intestato, e di Berlusconi che ha cercato di costruirlo sin dal governo del 1994, non riuscendoci. Chissà se questa volta i (costosi) progetti diventeranno cemento e acciaio.

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