Fondi russi ai partiti, l’avviso degli Stati Uniti a chi deve capire: un giallo

Il commento. La vera notizia non è che i russi hanno pagato e pagano dei politici occidentali per influenzare la politica estera degli Stati. La vera notizia è che gli americani fanno sapere di avere in mano i nomi e i cognomi di quei politici. Lanciano un avvertimento agli interessati e agli elettori. A cominciare dagli italiani. Che andranno a votare tra dieci giorni: sarà un caso che dagli uffici del segretario di Stato Usa Blinken esca proprio adesso il dossier sui 300 milioni di dollari versati in vari modi dal Cremlino a politici di 24 Paesi?

Certo, il Copasir e Palazzo Chigi ci fanno sapere che «per ora» non ci sarebbero nomi italiani nel dossier ma anche - lo ammette il presidente del Comitato servizi, D’Urso, che è di Fratelli d’Italia - che «la situazione può sempre cambiare». Urso si aspetta notizie nei prossimi due giorni e per questo ha convocato il sottosegretario Gabrielli (sicurezza nazionale) a riferire ai parlamentari. Poi però arriva Di Maio a ipotizzare che «i dossier siano più di uno», e dunque che se i nomi degli italiani non ci sono su uno di loro, si possono sempre trovare su un altro. E via sospettando da qui al 25 settembre.

I nomi usciranno, certo che usciranno. Ma potrebbero essere nomi di pesci piccoli a mò di segnale per chi deve capire: collaboratori, uomini d’affari, presidenti di associazioni e fondazioni. Poi ci potrebbe davvero essere il botto: un super-nome. E allora sì che la campana elettorale potrebbe prendere fuoco, altro che questa noiosa melina in cui l’unica domanda è se la Meloni vincerà o stravincerà, se Letta verrà fatto a fettine il giorno dopo il voto dai suoi compagni di partito, se Renzi e Calenda riprenderanno a litigare a urne chiuse, se Conte uscirà vivo come una salamandra dall’incendio attraverso il quale sta passando. Ma di chi si sta parlando in queste ore? Della Lega, innanzitutto. La striscia di polemica sui rapporti tra Salvini e Mosca data da anni, almeno da quando il Carroccio firmò l’accordo con «Russia Unita», il partito di Putin. Poi si rinfocolò col caso Savoini, il leghista sospettato di trattare una maxi tangente con i russi sulle forniture di gas. Infine si è infiammata quando a Salvini un sindaco polacco al confine con l’Ucraina ha sventolato in faccia l’amata t-shirt con la faccia di Putin più volte indossata anche sulla ex Piazza Rossa. Salvini si difende ripetendo per la milionesima volta: «Sono fake news; indaghino pure, non troveranno né un dollaro né un rublo».

Poi c’è l’accusa di un ex ambasciatore americano alla Nato ai tempi di Bush, Kurt Volker, che punta il dito («ma senza prove personali dirette») contro Fratelli d’Italia appaiando il partito della Meloni a quello di Marine Le Pen. «Quereliamo» è stata la risposta di Giorgia alla quale tuttavia lo stesso Volker riconosce di aver scelto da tempo una linea anti-russa, filo Nato, pro armi all’Ucraina e sanzioni a Putin.

Infine, il terzo sospettato è Silvio Berlusconi che non ha mai nascosto, anzi se ne è vantato, l’amicizia con il dittatore del Cremlino, ospitato sontuosamente nella villa in Costa Smeralda del Cavaliere a sua volta ricevuto nella dacia del caro Vladimir. Aveva rapporti d’affari, Silvio, con Putin? Di Maio ha una tesi: i filo russi sono coloro i quali hanno reso l’Italia dipendente dal gas di Mosca. Tesi interessante. Però il ministro degli Esteri non può dimenticare che il Movimento 5 Stelle, il suo partito fino a quest’estate, era fortemente sospettato di mantenere rapporti col Cremlino attraverso un sottosegretario grillino agli Esteri, amico di Di Maio medesimo. Siamo al giallo elettorale, è chiaro. Gli americani, impegnati nell’escalation russo-ucraina, hanno lanciato un segnale piazzando sul tavolo un ventilatore ben carico e minacciando di premere l’interruttore.

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