Giovani russi mandati a morire, i sabotaggi

L’editoriale Una foto straziante tra le tante che ci arrivano dall’Ucraina, ritrae i corpi senza vita di una decina di giovani soldati russi abbandonati nelle campagne di Kharkiv, vittime dell’esercito di Kiev durante l’offensiva che ha respinto le forze di Mosca dalla città.

La cura dei morti è antica come la civiltà umana. Esprime pietà per chi abbandona l’esistenza e contiene, al tempo stesso, la certezza che il viaggio continua in un altro mondo. Numerose testimonianze dirette e diverse fonti certificano la scelta del Cremlino: riportare in patria quei corpi e consegnarli alle famiglie significherebbe ammettere che le vittime russe sono molte migliaia. Probabilmente non le 27.200 dichiarate dal governo di Kiev, ma comunque un numero spropositato per una potenza che immaginava di liquidare il conflitto in poco tempo. L’Ucraina si è rivolta alla Croce Rossa per procedere alla restituzione dei corpi, ma la Russia si è rifiutata di riceverli. Nei primi giorni dopo l’invasione iniziata il 24 febbraio scorso, il Cremlino aveva vietato i funerali dei soldati. «Ci hanno detto che non avremo la salma del nostro caro indietro finché tutto non sarà finito» confidò una donna al giornale d’opposizione «Novaya Gazeta», nel frattempo costretto a chiudere. Del resto la guerra non è ufficialmente riconosciuta come tale da Mosca, che ha sempre parlato di «operazione speciale». Nel frattempo è nato un canale su «Telegram» per le madri dei militari, un aiuto alle famiglie a ritrovare caduti e prigionieri.

A molti di loro non è stato chiarito che sarebbero andati al fronte. «Mamma, ho paura, ci avevano detto che sarebbe stata un’esercitazione e invece è una guerra» ha scritto un ventenne alla mamma in un messaggio dalle prime linee

Ancora nei primi giorni del conflitto, il ministero della Difesa russo sosteneva che a combattere in Ucraina fossero soltanto i soldati professionisti. Ma poi ha dovuto ammettere l’impiego dei coscritti, giovani tra i 18 e i 27 anni obbligati ad arruolarsi con la minaccia di multe pesanti o di pene detentive fino a due anni. A molti di loro non è stato chiarito che sarebbero andati al fronte. «Mamma, ho paura, ci avevano detto che sarebbe stata un’esercitazione e invece è una guerra» ha scritto un ventenne alla mamma in un messaggio dalle prime linee. «Siamo qui a combattere, ma io non voglio uccidere, gli ucraini non mi hanno fatto niente» scrive un altro. I figli degli oligarchi vicini al Cremlino non hanno invece di questi problemi: non vengono arruolati e studiano all’estero.

Dalla prima metà di aprile - secondo le stime del Cit - dal 20 al 40% dei soldati che avevano preso parte alle operazioni militari a Kiev, a Chernihiv e a Sumy hanno cercato di disertare

Poi certo c’è una massa di soldati ispirati dalla missione di conquista dei territori ucraini che ha spinto Putin in un’impresa folle. Al loro fianco combattono anche russi asiatici, le famigerate brigate cecene, la compagnia paramilitare privata di ispirazione neonazista Wagner (nel Donbass), mercenari libici e siriani incaricati del «lavoro sporco». Ma in Russia sta crescendo il numero di sabotaggi (per ora oltre un centinaio) che prendono di mira centri di reclutamento dell’esercito e caserme, distruggendo i computer degli archivi per cancellare i database con l’elenco dei coscritti, costringendo le autorità a interrompere gli arruolamenti in diversi distretti della Federazione. Il Conflict intelligence team (Cit), gruppo indipendente di giornalisti investigativi russi che si è spostato a Tbilisi, in Georgia, ritiene che si tratti soltanto dei casi più eclatanti tra quelli documentati. Dalla prima metà di aprile - secondo le stime del Cit - dal 20 al 40% dei soldati che avevano preso parte alle operazioni militari a Kiev, a Chernihiv e a Sumy hanno cercato di disertare. L’avvocato Pavel Chikov, che dirige l’organizzazione non governativa russa per i diritti umani «Agora» e da anni si batte contro gli abusi delle forze dell’ordine, ha riferito al media indipendente Mediazona (costretto a trasferirsi in Lituania) che gli uffici della sua associazione sono subissati dalle richieste di assistenza legale dei «refusenik» dell’esercito e della Guardia nazionale creata da Putin nel 2016. Da Pskov a Vladivostok, da San Pietroburgo a Sinferopoli, da Kazan a Mosca, sono già centinaia i militari che si sono rifiutati apertamente di partecipare al conflitto e il loro numero cresce di giorno in giorno.

Ai mezzi d’informazione è vietato pubblicare notizie dei rifiuti a combattere e i giornalisti che lo fanno rischiano procedimenti penali per aver diffuso «false notizie» sulle forze armate

Il movimento degli obiettori di coscienza russi ha raccolto ogni singolo episodio avvenuto fino ad oggi in un rapporto dettagliato che dà voce a quel pezzo sempre più consistente dell’esercito di Mosca che non vuole la guerra. Un documento dal titolo esplicito - «I russi si rifiutano di combattere in Ucraina» - che elenca centinaia di casi di disertori dell’esercito e della Guardia nazionale, le minacce e le intimidazioni che hanno subito, oltre alle testimonianze dei coraggiosi avvocati che li assistono. Ai mezzi d’informazione è vietato pubblicare notizie dei rifiuti a combattere e i giornalisti che lo fanno rischiano procedimenti penali per aver diffuso «false notizie» sulle forze armate. Ma la realtà viene a galla, più forte delle censure imposte da Vladimir Putin.

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