Gli obiettivi da definire tra Biden e Draghi

L’incontro di oggi (10 maggio) alla Casa Bianca fra Biden e Draghi è fra due vecchi amici. Il premier italiano, tra i leader europei, è quello che ha la più lunga consuetudine con il presidente americano. L’Italia è allineata alle posizioni dell’Europa e della Nato, quindi non è in discussione la collocazione euro-atlantica del nostro Paese, dimostrata anche dalla condotta nella guerra in Ucraina. Palazzo Chigi si muove su due fronti che si tengono l’un l’altro: rafforzamento del legame transatlantico e ricerca di una soluzione negoziale.

Visto così, il colloquio avrà un esito scontato, al quale però vanno aggiunte preoccupazioni e sfumature che giungono dalla piega del conflitto sul terreno e dallo stallo diplomatico. L’armata putiniana procede a rilento nel Donbass e l’Ucraina, sostenuta dalle armi occidentali, sta preparando la controffensiva per i prossimi mesi. Siamo nel pieno di una escalation militare con il rischio di una lunga guerra d’attrito. Le parti in causa sono prigioniere di una logica del rialzo continuo, con Mosca che non ha intenzione di aprire un negoziato serio.

All’indomani del vertice del G7 con la conferma della dottrina Biden, l’America, che si propone come «l’arsenale della democrazia», e gli alleati hanno ribadito la distinzione fra pace e resa, il che significa che in questo confronto fra democrazie e autocrazie aumenteranno il sostegno militare a Kiev e in parallelo moltiplicheranno gli sforzi diplomatici. Biden ha dalla sua opinione pubblica e Congresso, ma probabilmente perderà le prossime elezioni di mezzo termine. Il leader della Casa Bianca, dopo il cambio di passo interventista, è sotto pressione.

Si tratta di chiarire la portata del sostegno all’esercito ucraino, perché il confine fra appoggio alla resistenza di Kiev e coinvolgimento diretto appare labile: fin dove si può spingere l’aiuto a Zelensky? Sarebbe il momento opportuno di una riflessione più complessiva per definire gli scopi militari e politici e i loro perimetri precisi, oltre che condivisi. Draghi ne è certo consapevole, ma i margini di manovra sono stretti. L’America ci guarda e osserva un Paese tutt’altro che compatto, benché rientrato nei ranghi dell’atlantismo: divisioni anche trasversali e nel governo smarcamenti in cerca di voti di Lega e grillini contiani, riflesso di antiche frequentazioni. Ci guarda anche la Russia che ha individuato nell’Italia e nell’Ungheria gli anelli deboli della filiera atlantica.

Il tema dirimente riguarda le forniture belliche a Kiev, pur sapendo che c’è stato il via libera del Parlamento e che la discussione fra armi difensive e offensive è più politica che tecnica. Draghi ha anche una veste europea: per la sua reputazione, per gli ottimi rapporti con la Francia e con la tormentata Germania in fase problematica.

Il tema dirimente riguarda le forniture belliche a Kiev, pur sapendo che c’è stato il via libera del Parlamento e che la discussione fra armi difensive e offensive è più politica che tecnica. Draghi ha anche una veste europea: per la sua reputazione, per gli ottimi rapporti con la Francia e con la tormentata Germania in fase problematica. Considerando che Europa e Usa non sempre sono sovrapponibili, come dimostra questa frase di Letta: «La sfida per la pace si gioca qui e deve condurla l’Europa. E sono fuori luogo le uscite di Boris Johnson, quando dice che la guerra va portata sul territorio russo». Quella Europa che non ha ancora maturato una visione d’insieme pari alla reazione contro il Covid. L’asticella non si può alzare più di tanto, anche perché le sanzioni sono asimmetriche: colpiscono meno l’America e più l’Europa, penalizzando nazioni come l’Italia con debito pubblico alto e con maggiore dipendenza energetica da Mosca. Siamo quasi a fine legislatura, la ricerca di consensi può giocare brutti scherzi, il contesto sociale ed economico è decisamente sfavorevole. E, per contro, quanto più durerà la guerra tanto più il fronte italiano interno (il fattore decisivo) è destinato a diventare fragile.

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