Gli obiettivi per il 2026: la pace e l’Ue protagonista

MONDO. L’obiettivo del 2026 è la pace in Ucraina dopo quattro anni di guerra. A Gaza, nonostante tutto, la tregua sembra reggere aspettando la fase 2.

La speranza è superare l’«annus horribilis» del 2025, l’anno dei predatori, con il ritorno di Trump alla Casa Bianca e il rafforzamento neo-imperiale di Putin. È una transizione disordinata e conflittuale, quindi ad alto rischio, il cui esito non è ancora chiaro, se non una stabile incertezza. Mai come in questo periodo le trattative sull’Ucraina sono state così intense, intrappolate però in uno «stallo attivo» fra due progetti incompatibili che coinvolgono i territori e la sicurezza di Kiev: l’Ucraina negozia per cautelarsi legittimamente da una vulnerabilità dettata dalla geopolitica, la Russia per renderla strutturale. Trump non è l’onesto sensale, perché pende dalla parte di Putin, l’amico a fasi alterne. L’approccio dell’Europa (Italia compresa) è duplice: continuare a sostenere il Paese aggredito, anche facendo debito comune, e aumentare la pressione su Mosca, la quale conta sull’impunità e che il tempo sia dalla sua parte.

Una questione esistenziale

Per l’Ue, la partita è una questione esistenziale perché riguarda i suoi confini e il principio dell’inviolabilità territoriale. Per il presidente americano è soltanto un dossier all’interno di un rapporto più ampio con Putin: tutto è negoziabile, purché sia al prezzo giusto per l’«America First». Il 2025 s’è consumato nel segno di Trump tornato alla Casa Bianca e il 2026, con le elezioni di mezzo termine, farà il punto sullo stato dell’arte. Con lui l’America non s’è ritirata dal mondo, ma intende rimodellarlo per disciplinarlo a suo uso e consumo, puntando il focus sulla Cina e, ultimamente, anche sulle Americhe. Un leader a dismisura, che ha reso possibile l’impossibile. Un’America che, con Bush, aveva fallito nell’esportare la democrazia con le armi e che ora con Trump passa alla promozione delle autocrazie. Assistiamo al ritorno della logica di potenza, della forza contro le regole, liquidando il vecchio ordine liberale: il diritto internazionale, semmai, segue come la sussistenza. Mentre gli irriconoscibili Stati Uniti scivolano verso forme illiberali, la supremazia globale si va formando sul dominio unilaterale, finanziario e tecnologico, ribadito con il recente attacco alle regole digitali europee, e attraverso le nuove sfere d’influenza spartite fra i tre Grandi (Usa, Cina, Russia).

Trump, leader mondiale dell’Occidente?

L’ex premier Monti s’è chiesto se Trump, in quanto presidente, possa essere considerato il leader morale dell’Occidente, domanda che si può girare anche a Giorgia Meloni. L’Europa è finita nel mirino della Casa Bianca e declassata strategicamente: non solo «scroccona», ma un dannoso intralcio. Nel fare chiarezza, s’introduce una miscela inquietante dettata dal divario di potenza fra l’egemone (America) e il subalterno (Europa). Trump non tollera l’Ue, perché ne rappresenta l’antitesi: Stato di diritto, distinzione fra interesse privato e pubblico, capitalismo democratico, scambi commerciali, sistema multilaterale.

L’Ue, però, non gira a dovere

La «diplomazia dell’inchino», il comportamento remissivo nell’imposizione dei dazi, è stata solo parzialmente riscattata da una reazione più dignitosa. Il gioco americano e russo consiste nel dividerci, mantenendoci deboli. Il venir meno della sicurezza garantita dall’America ci rende ricattabili e riduce la libertà dell’Europa: lo ha dimostrato la questione dazi, perché sul piatto c’era la necessità di tenere a bordo gli Usa per il sostegno a Zelensky. L’Europa cerca di salvaguardare la democrazia e una visione del mondo inclusiva, ma viviamo in tempi di interdipendenza armata. In attesa di sapere come ci rapportiamo agli Stati Uniti (alleati, ex alleati, rivali?), ne restiamo dipendenti. Eppur si muove, la vecchia Europa, però entro margini di consenso limitati e su materie sensibili agli occhi dell’opinione pubblica: la sicurezza, nella gerarchia delle necessità, ha sostituito la transizione verde che era già annacquata, mentre l’accordo Mercosur (un mercato di 700 milioni di persone, la più grande area commerciale al mondo) attende gli ultimi aggiustamenti per risolvere la resistenza della Francia, le riserve dell’Italia e l’opposizione degli agricoltori.

L’Ue, stretta fra l’aggressività geopolitica della Russia e quella commerciale della Cina, ha stabilito che prima viene la difesa, ma deve costruire un clima politico che renda questa emergenza riconosciuta da tutti i partner. La Commissione di von der Leyen è in ribasso sia perché la maggioranza che sostiene la presidente è piuttosto divisa, sia perché si sono rafforzati gli interessi nazionali dei singoli Paesi: è in questo contesto contraddittorio che si muove l’Italia di Giorgia Meloni, un po’ con Ursula e un po’ con Trump, e con tre posizioni differenti nella propria maggioranza.

La Francia è ai minimi storici e la crisi industriale della Germania è la peggiore dal ’49, da quando è nata la Repubblica federale. Il Rapporto Draghi rischia di essere il documento più applaudito e insieme più ignorato. L’economia europea nel 2026 dovrebbe mantenersi stabile: niente di straordinario, inflazione sotto controllo. Avanti adagio, senza un particolare trasporto: la regola sembra quella della riduzione del danno, un gioco in difesa. Un po’ poco per chi ambisce ad essere un attore geopolitico.

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