I bambini deportati, l’orrore viene a galla

Il commento. Giovedì scorso nelle città ucraine si è svolta la manifestazione «Dove sei», omaggio alla memoria delle oltre 600 vittime del bombardamento russo sul teatro di Mariupol avvenuto il 16 marzo 2022. L’edificio artistico fu colpito nonostante contrassegnato all’esterno dalla grande scritta «bambini» per segnalare la presenza di minori fra il migliaio di persone che si erano rifugiate negli scantinati sotto il palco.

In Italia fu messa in discussione l’autenticità della notizia, la stessa sorte toccata nei giorni precedenti all’eccidio di Bucha, quando ci si spinse a dire che i corpi nelle strade della cittadina, diventata il simbolo dell’Ucraina martoriata, in realtà erano manichini. O a sospettare per la carneficina l’esercito ucraino alternativamente ai servizi segreti britannici. Il dubbio è legittimo ma quando la verità viene a galla, per onestà intellettuale andrebbe riconosciuta. Un anno fa inchieste giornalistiche, familiari e organizzazioni non governative denunciarono la deportazione in Russia di migliaia di bambini dai territori occupati del Donbass (dalle regioni di Kherson e di Mariupol in particolare) da parte dell’esercito del Cremlino. Anche questa notizia fu accolta con un certo scetticismo nel dibattito pubblico italiano, impegnato nei media e nei social a colpevolizzare per l’origine del conflitto la Nato e gli Usa, per il tramite dell’Ucraina.

Il 4 marzo 2022 nell’ambito dell’Onu fu istituita una Commissione internazionale indipendente che si è recata per otto volte in Ucraina e ha visitato 56 città e villaggi raccogliendo prove consistenti di reiterati crimini di guerra e contro l’umanità perpetrati dall’esercito russo e un piccolo numero di violazioni commesse dalle forze armate ucraine. Anche sulla base di questo lavoro, la Corte penale internazionale dell’Aia ha emesso due mandati di cattura: il primo per il presidente della Federazione russa, Vladimir Putin, accusato di aver ordinato la deportazione illegale di migliaia di bambini ucraini e per non aver esercitato controlli sui civili e i militari che li hanno materialmente portati via. Al capo del Cremlino viene contestato anche il decreto che ha reso più veloci sia il conferimento della cittadinanza russa ai piccoli che la procedura di adozione.

Il secondo mandato è per Maria Alekseyevna Lvova-Belova, Commissaria del governo di Mosca per i diritti dei minorenni, che ha avallato e facilitato la deportazione (lei stessa ha adottato un bambino di Mariupol). «Le decisioni della Corte penale internazionale non hanno alcun significato per il nostro Paese, nemmeno dal punto di vista legale» ha commentato la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova. Un’ovvietà: il provvedimento vale obbligatoriamente per i 123 Paesi che aderiscono allo Statuto di Roma (Stati Uniti, Russia, Cina e India non sono tra questi). Ma Zakharova non smentisce il reato contestato: per il Cremlino sono 733mila i bambini ucraini attualmente residenti in Russia ma, sostiene Mosca, in seguito a migrazione volontaria, di famiglie con figli che hanno liberamente scelto di vivere dall’altra parte della frontiera. Secondo la Procura di Kiev invece i deportati sono 13.899 (da pochi mesi a 16 anni, 125 rintracciati e recuperati) ma la stima arriva a 150mila. Si tratta di minori che vivevano in orfanotrofi, case famiglia, istituti dei servizi sociali ma ancora con parenti o sottratti alle famiglie nei cosiddetti «campi di esfiltraggio» dove i nuclei in uscita dai territori occupati vengono trattenuti. Molti bambini nell’estate scorsa avevano invece aderito con il permesso di padri e madri a viaggi vacanza in Crimea e non sono più tornati. Per chi ha incontrato il dolore vero e profondo di questi genitori in Ucraina è difficile pensare che si tratti di una montatura...

Il procuratore della Corte dell’Aia, Karim Khan, ha detto che « l’invasione su larga scala ha reso l’Ucraina un’enorme scena del crimine». Carla Del Ponte, che in passato ha ricoperto lo stesso incarico, ha invece espresso questo giudizio: «Finora, per l’esperienza che ho di crimini di guerra, in ex Jugoslavia, in Ruanda e in Siria, non mi era mai capitato di vedere un simile comportamento criminale che consiste nel voler sradicare l’identità di un popolo». Un pensiero che rimanda alla causa del conflitto, dichiarata in saggi dell’ultranazionalismo russo ai quali si ispira Putin: la deucranizzazione, la soluzione militare per mettere fine all’indipidendenza e al desiderio di libertà di un popolo che ha osato sfidare il Cremlino scegliendo alleanze sgradite. I rapporti fra Usa, Nato e Kiev raccontano una parte della storia che va invece studiata almeno a partire dal ’900.

Le contestazioni della Corte riguardano Putin, non lo Stato russo e un eventuale, improbabile processo non potrebbe avvenire in contumacia. La particolare efferatezza dell’esercito del Cremlino è responsabilità dello «zar», vista in azione già in Cecenia: è lui che ha sdoganato la violenza come strumento lecito di governo, anche verso i suoi cittadini dissidenti, incarcerati quando non uccisi. Senza alcun minimo limite etico, fino alla deportazione di bambini.

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