Il cortile di casa
nel mondo multipolare

La globalizzazione, i social media e i confini aperti hanno ampliato in maniera enorme la tradizionale frattura esistente tra obblighi imposti dalla geopolitica, esigenze (o incapacità) delle dirigenze al potere e i cambiamenti che richiedono a gran voce le società nazionali alle loro leadership. Sono tanti, forse troppi, i casi che si possono elencare oggi. L’ultimo in ordine di tempo è quello di Cuba, ma negli ultimi mesi abbiamo osservato soprattutto quelli della Bielorussia, di Myanmar e di Hong Kong. Manifestazioni di piazza imponenti sono state sedate in maniera violenta, spesso con spargimenti di sangue. La repressione seguita non ha mancato come prima misura quella di spegnere Internet ed il flusso continuo di informazioni.

Ufficialmente tale scelta poliziesca è dettata dalla necessità di evitare «interferenze esterne», ma, invero, anche per bloccare logisticamente gli oppositori. Ed alla fine, in genere, con l’aggiunta di una lunga tattica di logoramento le dirigenze contestate riescono ad allungare la loro permanenza al potere, contrabbandandola come «la stabilità che vince».

La vicinanza geografica di una Potenza incide e non poco – in un senso o nell’altro – sugli eventi. Così per il momento, come in quelli passati, anche nel XXI Secolo il mondo rimane prevalentemente diviso in sfere di interesse.

Ma sarà sempre più difficile spiegare, ad esempio, a un cubano che l’isola in cui vive è «prigioniera del sogno di altri» (come ha detto il filosofo Slavoj Zizek) e ad un bielorusso che non può ambire al «sogno europeo», perché il «grande vicino» non vuole.

Uno straccio di standard minimo di decenza sotto forma di diritti, qualità della vita, lotta alla corruzione e alle diseguaglianze deve essere comunque garantito da queste dirigenze in difficoltà. Così a Cuba, dopo le proteste, è stato immediatamente consentito l’accesso dall’estero di medicine ad uso personale senza pagare le imposte.

Ma misure una tantum servono solo a placare per un po’ le piazze e a guadagnare tempo. Certe dinamiche globali difficilmente possono essere imbrigliate nel lungo periodo senza un serio progetto di riforme e di riposizionamento.

Il mondo delle sfere di interesse, che piace tanto a politici 70enni, è ormai superato dalla globalizzazione e dalla rivoluzione tecnologica. Il sapere gestire questa nuova realtà sarà fondamentale per le leadership.

In geopolitica i vuoti vengono sempre colmati: lo stiamo vedendo in Afghanistan con il ritiro degli occidentali. Dopo il crollo dell’Urss nel ’91 e l’allargamento ad Est dell’Unione europea nel 2004 si è venuta a creare un’area grigia tra la Russia e i Ventisette.

Bruxelles ha iniziato da oltre un decennio una politica di partnership «orientale» con sei Stati di questa area. Ucraina, Moldavia e Georgia stanno modificando le loro legislazioni per armonizzarle con quelle Ue (traendo incommensurabili vantaggi economico-commerciali), mentre gli altri tre si sono persi per strada.

Armenia e Azerbaigian sono impegnati nel dissidio per il controllo del Nagorno-Karabakh. La Bielorussia invece ha tagliato i ponti con Bruxelles dopo i «brogli» alle presidenziali dell’agosto 2020 vinte da Aleksandr Lukashenko e la successiva repressione.

Pensare di chiudere il cancello del proprio «cortile di casa» e di tornare alla realtà di qualche decennio fa, come fanno i militari in Myanmar, è illusorio. Qualche autocrate in giro per i 5 continenti resiste, controllando l’informazione, costruendo falsi miti e sollevando ataviche paure. Ma quanto durerà questo giochetto? Il mondo multipolare bussa alla porta.

© RIPRODUZIONE RISERVATA