Il medico Gino Strada e la sacralità della vita. Le cure alle ferite del mondo

Una coincidenza impressionante. Proprio ieri «La Stampa» riportava un commento sull’Afghanistan in disfacimento firmato da Gino Strada, profondo conoscitore di quel Paese, dove ha vissuto per 7 anni. Nel testo il medico denunciava il coprifuoco mediatico perpetrato nei mesi scorsi da tv e giornali su una terra martoriata e l’illegalità del conflitto anglo-americano che nell’ottobre 2001 abbattè il regime talebano in risposta agli attacchi terroristici del settembre precedente sul suolo Usa, ma già ideato nel 2000 senza la copertura Onu.

Gino Strada è morto proprio ieri, a 73 anni, mentre si trovava in Normandia: soffriva di problemi di cuore. La vita è proprio strana: giovane medico, Strada si specializzò in cardiochirurgia agli Ospedali Riuniti di Bergamo sotto la guida del grande Lucio Parenzan. Un legame che durò nel tempo: il professore seguì il progetto e la realizzazione del Centro di cardiochirurgia a Ot Salam, in Sudan, voluto da Emergency e inaugurato nel 2007. Ma il mondo della sanità italiana stava stretto a Strada, non ne sopportava la burocrazia e le storture. Così decise di seguire quella che era già una vocazione, portare soccorso alle vittime delle guerre e della povertà. Nel 1989 sceglie di lavorare per il Comitato internazionale della Croce Rossa proprio in zone di conflitti o in miseria: Pakistan, Etiopia, Perù, Afghanistan, Somalia e Bosnia Erzegovina. Constatando il grande bisogno di cure che c’è in tanti Stati, decide di «mettersi in proprio» e insieme alla moglie Teresa Sarti, scomparsa nel 2009, fonda nel 1994 l’onlus «Emergency», con l’obiettivo di riabilitare gratuitamente le vittime di guerre e mine. Oggi l’organizzazione è presente in 18 Paesi e ha curato 11 milioni di persone. Anche in Italia, nelle zone sanitariamente depresse e nella lotta al Covid (nel novembre 2020 il nome del medico milanese era stato fatto come possibile responsabile dell’emergenza coronavirus in Calabria).

Radicale nelle sue prese di posizione, amato e odiato, Gino Strada ha spesso assunto toni forti per criticare i governi italiani di qualsiasi colore politico, la corruzione nella sanità, la gestione dell’immigrazione, l’inazione dell’Unione europea, il commercio delle armi e gli interessi economici dietro le guerre. Mai fumantino però, anche quando compariva in tv per dibattere con chi è sulla sponda opposta. La radicalità è un tratto del carattere ma anche il frutto di chi per anni si è piegato sul tavolo operatorio negli Stati devastati da conflitti a ricucire corpi martoriati: da questo punto di vista, i giudizi sulle guerre, sul commercio d’armi e sui loro effetti nelle vittime cambiano, rispetto a chi assiste ai mali del mondo dal salotto di casa. Strada non aveva dalla sua la forza della fede, non era un credente ma convinto della sacralità della vita, di qualunque vita e ovunque. Anche in mare. Dall’agosto 2019 Emergency - partner dell’Onu dal 2006 - collabora con l’ong Open Arms per la ricerca e il soccorso dei migranti che tentano la traversata del Mediterraneo. Ed è da lì, dal mare, che la figlia Cecilia ha appreso della morte del padre. Il ricordo più sintetico e più centrato è quello del presidente Sergio Mattarella: «Gino Strada ha recato le ragioni della vita dove la guerra voleva imporre violenza e morte».

© RIPRODUZIONE RISERVATA