
(Foto di Ansa)
ITALIA. Siamo ormai vicini alla manifestazione pro Palestina che si terrà sabato prossimo a Porta San Paolo a Roma, e la sinistra ribolle già di polemiche e maldipancia.
Ma andiamo con ordine. La manifestazione è indetta dai «movimenti» e non dai partiti che, come si ricorderà, il 7 giugno tennero un comizio su Gaza a piazza San Giovanni che si caratterizzò per i toni non estremisti. Viceversa quel che ci si aspetta sabato è ben altro: sarà una manifestazione molto anti Israele, anti Piano europeo di riarmo e anti Nato. Ci saranno Green Peace e l’Arci, la Cgil e le Acli, Attac e Sbilanciamoci, la Fondazione Perugia-Assisi, l’Anpi e una moltitudine di altre sigle.
In contemporanea, qualche strada più in là, ci saranno anche i militanti dell’associazione dei Giovani palestinesi, sostenitori della Palestina «dal fiume al mare», cioè senza Israele, quelli stessi che l’anno scorso volevano commemorare la strage del 7 ottobre («Primo atto della rivoluzione») perpetrata da Hamas ma furono bloccati dal divieto del ministero dell’Interno.
Con loro sfileranno quelli di «Potere al Popolo» con gli striscioni in cui si legge: «Israele è un pericolo, giù le mani dall’Iran» e l’Assopace Palestina della ex parlamentare Luisa Morgantini di Rifondazione Comunista che fu l’unica il 7 giugno a riecheggiare dal palco le tesi più estremiste dei movimenti palestinesi. Ci si aspetta che le due manifestazioni finiranno per fondersi. Tra i politici saranno presenti Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli di Alleanza Verdi Sinistra e Giuseppe Conte che parteciperà nonostante le contestazioni da lui subite da parte dei movimenti organizzatori.
Il problema vero riguarda il Pd. Che fare? La piattaforma della manifestazione dell’Arci e degli altri gruppi non può essere sposata dalla segretaria Elly Schlein (che infatti ha una provvidenziale riunione a Utrecht cui andrà con il suo responsabile esteri Beppe Provenzano) se non vuole rendere ancora più profondo il solco che la divide dalla minoranza del suo partito, quella riformista che critica sì il governo Netanyahu ma resta ferma sulla posizione tradizionale dei «due popoli e due Stati» e non può tollerare gli accenti filo Hamas che qua e là in manifestazioni di questo tipo si ascoltano. I riformisti mai avrebbero accettato una presenza ufficiale del partito a Porta San Paolo. Per questo, nel più classico dei copioni del Pd, la presenza sarà un po’ meno che ufficiale e un po’ che ufficiosa: arriverà cioè una delegazione autorizzata ma non benedetta dalla segreteria. Ma sta di fatto che il gruppetto sarà composto da fedelissimi e alleati di Schlein: Sandro Ruotolo, Arturo Scotto, Laura Boldrini, Cecilia Strada e Marco Tarquinio. Insomma, un «vorrei ma non posso». Bersani ha declinato, dopo un’iniziale adesione, perché - ha spiegato - non partecipa mai a manifestazioni dalla piattaforma «non unitaria».
Ma ciò che i riformisti rimproverano a Schlein è la deriva del Pd verso la sinistra radicale al punto da non renderlo quasi più riconoscibile da AVS e persino dai 5 Stelle di Conte che sembrano sempre essere i padroni della «linea» che i democratici debbono continuamente inseguire per non essere troppo scoperti a sinistra. Un po’ come è successo con il fallito referendum della Cgil cui la segretaria di Largo del Nazareno ha aderito pur sapendo benissimo che quella era l’occasione che Landini cercava per candidarsi ad essere il leader naturale di un «campo largo» resuscitato. La sostanza è dunque che il Pd è il maggior partito del centrosinistra, ha più voti degli altri messi insieme ma non riesce ad elaborare una propria identità ed è costretto a pencolare da una parte e dall’altra. La crisi di queste settimane è dovuta al fatto che Schlein finisce sempre per pencolare un po’ troppo verso sinistra.
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