Il ruolo dell’Onu deve essere rafforzato

MONDO. Prima il Covid, poi la guerra ai confini dell’Europa, adesso l’esplosione della violenza in Medio Oriente, il conflitto più antico e intrattabile che abbiamo ai nostri confini meridionali.

Choc multipli, con l’invenzione del neologismo «permacrisi», una condizione di crisi permanente: dall’11 Settembre in poi, fino a quella che, secondo molti osservatori, è una contrapposizione globale fra democrazie e autocrazie. Su questi traumi si sono intensificati recentemente gli interventi del presidente Mattarella.

Ricomporre un tessuto lacerato, raffreddare il momento irrazionale della frattura contingente e restituirla al senso storico e dialettico del divenire. Le parole contano, quelle del Capo dello Stato volte alla riconciliazione nonostante tutto, pesano sia per l’alto apprezzamento che gode nel Paese sia perché il suo ruolo contempla anche quello di presiedere il Consiglio supremo di Difesa. Frasi che impattano come argine alla battaglia delle immagini e della propaganda. Uno sguardo internazionale, il suo, entrando pure nelle dinamiche, contribuendo a tenere il governo al passo con gli altri partner e rinsaldando l’unità del Paese nel perimetro euro-atlantico su snodi altamente divisivi. Sciagurati comportamenti umani, l’aggressione della Russia e l’atto terroristico di Hamas stanno cambiando il mondo e già prima del crimine contro gli israeliani Mattarella aveva parlato di un clima simile al ’38-’39, vigilia della Seconda guerra mondiale. Dunque, per difendere la pace bisogna che il sostegno all’Ucraina, finita in un cono d’ombra, rimanga fermo e costante. Nel frattempo va fermata l’escalation della violenza in Medio Oriente e tornare a cercare una soluzione condivisa. Distinguendo in modo netto aggressori (Russia e Hamas) e vittime (Ucraina e Israele), ma andando anche oltre. Cose di buon senso, per taluni scontate, invece la misura dell’equilibrio va ribadita perché la questione israelo-palestinese è preda di fondamentalismi atavici e di un eccesso di ideologizzazione, caricando il conflitto di significati estremi. Riesploso, fra l’altro, nella disattenzione della comunità internazionale, quando il destino della Terra Santa sembrava relegato a dibattito da convegni, ma anche in una fase di avvicinamento (a livello di governi, non di opinioni pubbliche) fra Israele e alcuni Stati arabi. I due popoli, sembra dire il presidente, non vanno lasciati soli. Per questo l’Onu non va criticato ma rafforzato per risolvere i conflitti e assicurare una maggiore capacità operativa. Richiamarsi alle Nazioni Unite significa affidarsi a un orizzonte diplomatico, sostanzialmente assente dagli accordi di Oslo del ’93 fra Rabin e Arafat con il patronage di Clinton.

La storia del «Parlamento dell’umanità» non è lineare: accanto ai progressi (promozione della pace, dello sviluppo sociale e di un codice di diritto internazionale) ha registrato battute d’arresto, fallimenti (Somalia, Bosnia, Ruanda), suscitando resistenza da parte di coloro che sentivano minacciati il loro potere e i loro privilegi. In più occasioni è finito sul banco degli imputati per l’inazione dei suoi organismi nelle aree di crisi o per essere diventato la tribuna di un terzomondismo anti occidentale. In questi giorni fanno discutere le controverse dichiarazioni del segretario generale, Guterres, interpretate come una presa di distanza da Israele, e la giravolta di un irregolare qual è Erdogan («Hamas non è un’organizzazione terroristica»). La questione da sempre più dibattuta è il diritto di veto che le grandi potenze (Stati Uniti, Urss poi Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia) possono esercitare, vanificando le scelte della stragrande maggioranza dei Paesi membri. I limiti mostrati negli ultimi 20 anni, nel proteggere la pace e perseguire le azioni criminali degli Stati nei teatri bellici, sono stati profondi. Tuttavia, mentre G7 e G20 sono solo parti del tutto, l’Onu è l’unico Foro globale dove tutti possono incontrarsi e parlare. Lo è a maggior ragione oggi in cui il Sud del mondo, piaccia o meno, reclama un posto nel consesso internazionale, avendo in sé forza (demografica, economica, di condizionamento e d’interdizione) e considerazione altrui che gli mancava e che non riceveva al tempo della Guerra fredda. L’Onu è un attore storico del Medio Oriente, il fattore indispensabile per qualsiasi apertura negoziale. Da anni il contingente Unifil, con militari anche italiani, presidia la fascia di sicurezza del Libano Sud. Lo vediamo anche in queste ore, dovesse reggere alla prova dei fatti il piano che stanno elaborando America ed Europa per il futuro di Gaza: creare le condizioni per cui la Striscia possa essere sottratta all’amministrazione di Hamas e riconsegnata all’Autorità nazionale palestinese (Anp) di Abu Mazen con la mediazione dell’Onu e della Lega araba. Ipotesi plausibile? Ogni negoziato deve tener conto che il fattore deterrenza per Israele, che si sente colpito nella sua esistenza, non è aggirabile. Inoltre gli eredi dell’Olp laica di Arafat compongono una gerontocrazia screditata agli occhi degli stessi palestinesi di Cisgiordania. Assai ardito pensare che l’Anp possa tornare a Gaza sui tank israeliani. Ma – come diceva un illustre politico e diplomatico d’Israele degli anni ’60, Abba Eban – la saggezza è la risorsa di ultima istanza quando si sono esaurite tutte le alternative.

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