
( foto ansa)
MONDO. L’attacco finale contro Gaza City e la Striscia, preceduto come da quasi due anni da un’ondata di bombardamenti e da centinaia di morti, è arrivato insieme con altri due eventi: la conferenza stampa di Benjamin Netanyahu e le conclusioni della Commissione indipendente dell’Onu.
I tre fatti vanno letti insieme, perché concorrono a spiegare il quadro tragico della situazione internazionale. L’occupazione della Striscia è ormai un fatto compiuto: resterà il computo delle vittime (dei civili soprattutto, ma anche dei miliziani di Hamas e dei soldati dell’Idf) ma è più che evidente che Israele si sta prendendo il territorio, facendo intanto dietro di sé terra bruciata per costringere i gazawi ad andarsene. E questo è solo il primo atto. Quando la polvere di Gaza si sarà depositata, toccherà alla Cisgiordania. Sono stati già approvati i nuovi insediamenti (illegali, come tutti quelli che li hanno preceduti), compreso quello gigantesco denominato E1 (East 1, perché sorge a Est di Gerusalemme), per spezzettare ancor più il territorio dell’Autonomia palestinese, mentre molti ministri del Governo Netanyahu chiedono a gran voce di annetterla.
. Il premier israeliano ha sfogato tutta la sicurezza e l’arroganza di cui è capace, dando ancora una volta l’idea che Israele sia convinto di godere di assoluta impunità
La conferenza stampa di Netanyahu, secondo evento, è servita a spiegare perché tutto questo può avvenire. Il premier israeliano ha sfogato tutta la sicurezza e l’arroganza di cui è capace, dando ancora una volta l’idea che Israele sia convinto di godere di assoluta impunità. Ha giustificato l’attacco al Qatar. Ha minacciato qualunque altro Paese possa ospitare esponenti di Hamas, dimenticando che il Qatar li ospitava anche per tentare un negoziato, come anni fa fece anche con i talebani. Ha minacciato la stampa, con il riferimento ai telefoni («Se avete un telefono, avete un pezzo di Israele con voi») assai sinistro dopo le centinaia di cercapersone fatti esplodere in Libano. Ha invitato gli investitori internazionali a finanziare le aziende israeliane, a suo avviso pronte a un boom economico, facendo finta di non sapere che è la guerra a spingere l’economia di Israele, non il contrario. Dopo l’attacco sul Qatar, la Borsa israeliana è cresciuta di botto di oltre il 6%, com’è inevitabile per un Paese che può bombardare otto altri Paesi in un anno e mezzo senza ricevere nemmeno una mezza sanzione, anche solo sulla vendita dei pompelmi.
Dopo l’attacco sul Qatar, la Borsa israeliana è cresciuta di botto di oltre il 6%, com’è inevitabile per un Paese che può bombardare otto altri Paesi in un anno e mezzo senza ricevere nemmeno una mezza sanzione, anche solo sulla vendita dei pompelmi
Nella sua filippica, però, Netanyahu ha anche spiegato perché tutto questo è possibile. Grazie al «sostegno incrollabile» degli Stati Uniti, reso tra l’altro molto evidente, anche nel caso di quest’ultima operazione a Gaza, dal viaggio del segretario di Stato Marco Rubio, compiacente al limite dell’ossequienza. Non è chiaro se Donald Trump pensi davvero che da tutte queste stragi possa nascere qualcosa di buono, se sia condizionato dalle componenti neocon della sua amministrazione o se, come sostengono alcuni, sia ricattato dai servizi segreti israeliani per il «caso Epstein». In ogni caso è l’ombrello Usa a garantire che Israele possa fare ciò che vuole, quando vuole, come vuole e dove vuole. O che possa espandere la propria influenza anche altrove: per esempio in Italia, dove ha messo un piede decisivo nella gestione della cybersicurezza nazionale.
Non è chiaro se Donald Trump pensi davvero che da tutte queste stragi possa nascere qualcosa di buono, se sia condizionato dalle componenti neocon della sua amministrazione o se, come sostengono alcuni, sia ricattato dai servizi segreti israeliani per il «caso Epstein»
Il che ci porta al terzo avvenimento, le conclusioni della Commissione indipendente nominata dall’Onu per indagare sulla Striscia. La Commissione, presieduta da una figura di grande autorevolezza come Navy Pillai, già giudice del Tribunale per il Ruanda, dopo quasi due anni di lavoro ha concluso che Israele a Gaza sta commettendo un genocidio allo scopo di «distruggere i palestinesi». È una realtà chiara da tempo, com’era facile stabilire esaminando le condizioni previste dalla Convenzione contro il genocidio (approvata in sede Onu nel 1948 e firmata anche da Israele).
Anche per noi europei resta la domanda: davvero crediamo che lasciar fare a Netanyahu ci porterà un Medio Oriente migliore?
Il fatto che ci siano voluti quasi due anni per dirlo a chiare lettere, lasciando nel frattempo il peso del dibattito a poche voci isolate, quando persino fonti israeliane (nel caso specifico, l’ex capo dell’Idf Herzl Hqlevi) confermano che i palestinesi uccisi sono almeno 200mila, racconta bene lo smarrimento della comunità internazionale, che ha assistito al progetto di genocidio in parte complice e in parte indifferente, o troppo debole anche solo per qualche gesto simbolico. Anche per noi europei resta la domanda: davvero crediamo che lasciar fare a Netanyahu ci porterà un Medio Oriente migliore?
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