Il voto europeo e la mossa di Le Pen

ITALIA. Il raduno leghista di domenica a Pontida, con il plateale invito di Salvini a Marine Le Pen, si fa controverso e diventa il punto di partenza della maratona elettorale per le Europee del prossimo giugno.

L’adunata sul pratone, nata nel 1990 dal cilindro di Bossi quale «variante creativa» del ruspantismo lumbard prima maniera, è stata di volta in volta fra alti e bassi il luogo dell’identità, il bene rifugio nei momenti di difficoltà, il termometro per misurare gli umori della comunità leghista. Ora, con il «passaporto padano» offerto a chi guida il Rassemblement National, Pontida viene proiettata nel cuore dello scontro radicalizzato sulle alleanze continentali. Marine Le Pen, per quanto abbia sottoposto il suo partito ad un maquillage per renderlo «potabile», è uno degli storici riferimenti della nuova destra radicale, con tutto quel che di negativo comporta ai fini di una società inclusiva, e fra i principali avversari delle istituzioni comunitarie. All’Europarlamento è nel gruppo Identità e Democrazia con la Lega, i conservatori polacchi e l’estrema destra tedesca (Adf) che, radicata nei Laender dell’Est, viene data dai sondaggi addirittura in sorpasso sui socialdemocratici in Germania.

Semplificando: Salvini sta alla Le Pen così come Giorgia Meloni sta agli spagnoli di Vox. Con tali apparentamenti e frequentazioni, si capisce perché Forza Italia non l’abbia presa bene e perché l’appuntamento a Pontida vada osservato con sguardo critico. Non stupisce che Salvini continui a cavalcare l’estrema destra europea. Il suo obiettivo, che compone una trama minoritaria fra botto mediatico e solitudine istituzionale a Bruxelles, è quello di non farsi normalizzare dalla marcia dentro le istituzioni della premier, intenzionata - nonostante tutto - a coltivare una proiezione nell’Ue. C’è chi ha parlato di uno sganciamento dalla linea di governo di cui è vicepremier, già abbozzato con il tentato aggancio al generale Vannacci, nel segno di una ipotetica «Rifondazione populista» per assemblare tutto ciò che si muove alla destra di Meloni. Per la premier è un passaggio delicato: qualche indizio di debolezza, l’esaurirsi della luna di miele con gli elettori, un quadro economico che volge al brutto. Fra crescita che rallenta, fine della sospensione del Patto di stabilità dopo l’archiviazione dei tassi a zero, legge di bilancio con pochi soldi. In questa situazione la ripresa della retorica contro Bruxelles e l’attacco frontale a Gentiloni sono mal riposti: rischiano di essere controproducenti per l’Italia, senza poter modificare ciò che sta avvenendo.

Sarebbe invece costruttivo proseguire nella sintonia con Ursula von der Leyen (utile pure alla presidente della Commissione europea in vista della sua probabile ricandidatura) e nella ricerca di alleanze: compreso quel Macron che, pur sulla difensiva in Francia e in Africa, è colui che ha fermato la Le Pen, la personalità che più s’è spesa per arginare l’onda populista. Raffreddare le tensioni con la Ue senza inseguire Salvini significa integrare gli euroconservatori della premier italiana nei futuri equilibri europei, che saranno decisi dalla tenuta dei popolari (Ppe) e dallo stato di salute dei liberali di Macron, l’ago della bilancia. Meloni, infatti, ha già subito una sconfitta. Il suo disegno iniziale era quello del ribaltone: fuori i socialisti, dentro i conservatori con i popolari. Una prospettiva che non sta in piedi. Non ci sono i numeri, secondo i sondaggi, che danno una maggioranza risicata (386 seggi su 705) all’attuale grande coalizione (popolari, socialisti, liberali e centristi). Non solo: lo scivolamento a destra del Ppe, quindi il pericolo di ritrovarsi insieme con l’impresentabile Adf che hanno in casa, è stato contestato da parti consistenti dei democristiani tedeschi, mentre la sconfitta del centrodestra in Spagna, con relativo laboratorio governativo assieme all’ultradestra di Vox, ha sancito l’impraticabilità di alternative all’attuale governo europeo.

Il tedesco Manfred Weber, presidente del Ppe e architetto del corteggiamento ai conservatori, è stato costretto a fare marcia indietro. La presidente dell’Europarlamento, Roberta Metsola, pure lei popolare, ha chiuso all’ipotesi: «Tra Ppe e conservatori ci sono differenze distintive, che non cambieranno». Meloni appare così affidarsi ad una subordinata del suo progetto: essere della partita per allargare la maggioranza, che è nell’interesse anche di Bruxelles per non spingere la destra italiana fra le braccia del tandem Salvini-Le Pen. In questo modo i conservatori si aggiungerebbero senza sostituirsi ai socialisti, gli avversari di sempre. Se così fosse, sarebbe una svolta politica significativa: rappresenterebbe una rottura nell’area delle nuove destre, un distacco dal sovranismo, un po’ come a sinistra era avvenuto con i 5 Stelle, che nel 2019 votarono per von der Leyen. L’operazione, non in linea con la piattaforma che ha portato la leader della destra a Palazzo Chigi, andrà resa spendibile, ovvero digeribile, presso il proprio elettorato e nella competizione con Salvini. Il quale, in questa sorta di «stampella dei socialisti», ha colto una finestra di opportunità: sembra questo il sottinteso, il non detto, con il quale il capo leghista sta apparecchiando la festa con Marine Le Pen.

© RIPRODUZIONE RISERVATA