La fiducia a von der Leyen e la politica dei due forni

MONDO. Tutto come da copione, sia nei risultati sia nelle divisioni fra le destre e fra la sinistra.

La mozione di censura nei confronti di Ursula von der Leyen – presentata da un parlamentare romeno del gruppo conservatore (lo stesso di FdI) per una vicenda a margine della gestione Covid – non è passata all’Europarlamento. La coalizione centrista dell’Assemblea ha votato a favore della presidente della Commissione. Il dato politico è il sostegno dei socialisti, che non era scontato e pur con qualche mal di pancia: l’alternativa era l’astensione. Ma gli spagnoli, punto di riferimento di questa famiglia politica con la vicepresidenza a Bruxelles e con seri guai in casa a Madrid, per il momento non hanno interesse a cambiare le carte in tavola. In cambio hanno ottenuto l’inserimento del Fondo sociale nel prossimo Bilancio pluriennale.

La posizione dei partiti italiani

Il Pd a trazione Elly Schlein, che mantiene le riserve nei confronti della signora Ursula, questa volta s’è allineato anche perché la segretaria deve vedersela con la propria rappresentanza, a maggioranza riformista e che più volte s’è mostrata autonoma dal vertice romano. Nessuna novità dal voto contro la presidente dei Cinquestelle e, dall’altra parte, della Lega. I conservatori, invece, si sono spaccati: FdI e gran parte del gruppo non hanno partecipato alla votazione, a conferma di un equilibrismo imbarazzante del partito di Giorgia Meloni, comunque in prevalenza schierato con von der Leyen.

I numeri per la presidente sono rassicuranti

I numeri, per Ursula, sono rassicuranti solo entro certo limiti. In effetti il voto è stato uno stress test per la responsabile dell’esecutivo bruxellese in perdita di velocità. L’ex ministra democristiana tedesca, dopo un anno di secondo mandato, non ha più il vento in poppa e il suo indebolimento si riflette sulla maggioranza che la sostiene: popolari (Ppe, il suo partito), socialisti, liberali. Alla presidente, non da oggi, vengono rimproverati una gestione centralista, un appiattimento sulle posizioni tedesche e alcune scelte non transitate all’Europarlamento. Soprattutto è accusata di aver annacquato il programma della Commissione, a partire dal controverso e oggi anestetizzato Green Deal che, varato nel consenso ampio nella precedente legislatura, strada facendo s’è misurato con i propri limiti e le contestazioni di agricoltori e imprenditori.

La politica dei due forni

Lo spostamento a destra della Commissione è nella logica della politica dei «due forni» praticata dai popolari, soprattutto dai tedeschi che sono gli azionisti di maggioranza e i dominus della situazione. La rottura del cordone sanitario verso le destre radicali non significa puntare su un’alleanza alternativa, perché popolari e tutto ciò che sta alla loro destra hanno i voti per un’Europa soltanto ai minimi termini, non per politiche europeiste. Inoltre non esiste l’istituto delle elezioni anticipate nell’Ue.

Vuol dire però che questa collusione, una sorta di coalizione sottotraccia di riserva, è in grado di svuotare (e correggere in senso negativo) pilastri fondamentali come la transizione verde e le politiche migratorie possibilmente ragionevoli. In questo modo i popolari guidano il gioco e danno le carte a tutti all’insegna di un conservatorismo pragmatico che bada al sodo e alle convenienze. In pratica tengono dentro tutto lo spettro politico, inseguendo due obiettivi: dividono le destre estreme nell’intento di frenare la loro relativa crescita (si veda l’ultradestra tedesca), assorbendone i richiami più potabili, e nel mentre delimitano i confini dei riluttanti alleati socialisti che si ritrovano con pochi margini di manovra, oltre ad essere distanti fra loro su temi come la Difesa. I «due forni» sono congeniali a Meloni che prospera in una specie di limbo, in quella terra di nessuno che si dilata fra i popolari e le cattive compagnie di un tempo: potremmo chiamarla «neutralità attiva» o «distanziamento operoso» rispetto agli impresentabili, che nel tempo potrebbe maturare verso una più chiara contiguità al Ppe.

La posizione della premier Meloni

La premier italiana, che privilegia le dinamiche personali (con Ursula, ad esempio) e i rapporti bilaterali, è fuori dall’euromaggioranza, senza collocarsi tout court all’opposizione. Così facendo, si destreggia nella rendita strumentale di chi può privatizzare gli utili e socializzare le perdite: se i risultati a Bruxelles ci sono può affermare che, ovvio, sono stati ottenuti perché lei è tornata in gioco; se non ci sono può chiamarsi fuori. Questo stare in Europa in maniera «creativa» è compensato dal suo atlantismo e dal posizionamento pro Ucraina, come ribadito con la Conferenza per la ricostruzione che termina oggi a Roma. In fondo la tenuta e la considerazione della premier italiana stanno nell’ambiguità remunerativa dei «due forni» che, da occasionale variante, ora veste i panni del politicamente corretto anche a Bruxelles.

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